Con la fine della guerra l’Italia riemergeva sconfitta, ma repubblicana e con la necessità di offrire una nuova identità al paese. In questo il cinema italiano mutava la sua essenza da forma di propaganda del regime a racconto del reale, principalmente attraverso il neorealismo, ma anche grazie a quel contenitore dai confini molto laschi che fu la commedia all’italiana.

SE DA UN LATO era impossibile non evidenziare il ritardo strutturale che colpiva nei suoi vari ambiti un paese bloccato da vent’anni di fascismo, era anche importante offrire un’idea magari ironica, ma positiva di quanto stava avvenendo. Anche per recuperare quell’area grigia utile al paese nuovo, ma ancora ben ancorata a quello vecchio. Questo mischiare le carte significò dare forma a un linguaggio certamente originale, ma anche avvallare vizi e visioni maschiliste e reazionarie. In quel contesto prese così corpo la figura definita della maggiorata, frutto di un maschilismo politicamente trasversale e di una società in cui la donna era ancora rinchiusa all’interno di una visione sostanzialmente fascista. La maggiorata divenne simbolo di un cinema in espansione, ma anche una possibilità di espressione del femminile fino ad allora impossibile.

Affronta il tema il ricchissimo saggio di Federico Vitella, Maggiorate. Divismo e celebrità nella nuova Italia (Marsilio) che mostra come il fenomeno fu centrale sia da un punto di vista artistico, ma soprattutto da quello industriale. Il cinema italiano si resse sul corpo delle donne, nello specifico di Gina Lollobrigida, Silvana Pampanini, Silvana Mangano e ovviamente Sophia Loren, in quanto capaci di trasmettere quel sogno di cui la società italiana aveva bisogno. Le maggiorate rappresentarono così la declinazione tutta italiana dello star system e furono un modello internazionalmente riconosciuto, ricercato e ambito. La loro presenza significava incassi nelle sale e quindi garantiva produzioni e collaborazioni internazionali.

IN ALCUNI CASI i personaggi interpretati permisero ad alcune attrici di esprimersi ben oltre i cliché trasformando in alcuni casi le loro carriere anche in virtù del peso contrattuale non indifferente che dava loro per la prima volta uno spazio d’azione inedito. E così furono i casi in particolare di Silvana Mangano e Sophia Loren, ma in verità il fenomeno delle maggiorate rivelò l’arretramento culturale di un paese che presto arrestò la propria capacità d’innovazione al punto che le maggiorate accompagnarono almeno fino ai primi anni Ottanta la commedia all’italiana in una decadenza che fu prima di ogni altra cosa artistica. Quello che fu uno strumento di cambiamento e d’inclusione – seppure con tutti gli evidenti limiti culturali – divenne una forma di rassicurazione dello status quo rivelando un maschilismo ben più radicale e instillato nella società di quanto si fosse raccontato. Tutto ciò non toglie nulla a pellicole che rappresentarono appieno negli anni Cinquanta e Sessanta il carattere di un paese e tanto meno ad attrici straordinarie che divennero vere e proprie star mondiali.

Su tutte Sophia Loren a cui la rivista Bianco e Nero, promossa dal Centro Sperimentale e diretta da Alberto Crespi, dedica l’ultimo numero monografico. Un numero che recupera un necessario discorso critico attorno alla carriera di Sophia Loren con interventi che non si limitano al racconto testimoniale, ma che indagano la figura della più famosa attrice italiana del Novecento cogliendone aspetti inediti e spesso sottovalutati. Alberto Crespi e Federico Vitella con punti di vista distinti offrono così una visione trasversale di un cinema fatto molto spesso da maschi per altri maschi grazie anche all’uso strumentale del corpo delle donne. Un corpo però capace di superare i triti stereotipi maschilisti per rivelare un campo espressivo inedito che ancora oggi riluce nella sua incredibile qualità artistica.