Bisogna tornare indietro di sei mesi per ritrovare un numero di casi paragonabili a quelli registrati nelle ultime 24 ore. Gli 8.569 casi positivi al coronavirus di ieri, infatti, rappresentano il dato più alto dall’8 maggio di quest’anno. Allora, con la terza ondata in via di assorbimento, si contavano circa 200 vittime di Covid al giorno, mentre ieri sono state 67. L’epidemia, che la scorsa settimana era cresciuta a un ritmo più blando, ora ha ripreso a correre: nell’ultima settimana il numero dei casi è aumentato del 45%, passando da 4.500 casi giornalieri in media a 6.600. Anche le vittime sono in leggera crescita. Piccoli numeri in assoluto (da 40 a 48 vittime giornaliere in media), ma +20% in termini percentuali.

LA SITUAZIONE, come sempre, varia da regione a regione. In Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia l’incidenza è rispettivamente a 316 e 233 casi ogni centomila abitanti in 7 giorni. Basilicata, Sardegna, Molise e Puglia sono sotto la soglia dei 50 casi. Marche e Friuli-Venezia Giulia superano anche la soglia d’allerta del 10% della saturazione delle terapie intensive.

L’assessore marchigiano Filippo Saltamartini ha annunciato l’apertura di 24 posti letto di terapia intensiva nella regione, un numero sufficiente a riportare il tasso di occupazione sotto la soglia. È poco più di un trucco. «Vorrebbe dire trovare altri 18 anestesisti e 72 infermieri aggiuntivi e ovviamente non è così» spiega da Ancona Claudio Maria Maffei, direttore scientifico del think tank Chronic On ed esperto della sanità regionale delle Marche. «Abbiamo aggiustato la percentuale e non la capacità di risposta ai pazienti Covid».

L’ALTA PERCENTUALE di vaccinazioni però attutisce complessivamente l’impatto del Covid-19 sul sistema sanitario. Mentre le persone positive hanno superato ormai le 106 mila unità, in crescita del 22% rispetto a sette giorni fa, i ricoverati sono aumentati del 15% e sono quasi quattromila, mentre quelli in terapia intensiva hanno raggiunto quota 422 (5% del totale), aumentando solo del 10% in una settimana.

Il timore del ministero è che l’arrivo della stagione invernale si combini con un calo dell’efficacia vaccinale, costringendo di nuovo il paese a sospendere attività scolastiche e commerciali. Perciò, dopo l’annuncio di mercoledì alla Camera, gli uffici del ministro hanno emanato ieri la circolare che raccomanda dal 1 dicembre la terza dose anche per chi ha tra i 40 e i 59 anni dopo «almeno sei mesi dal completamento del ciclo primario».

La circolare però non spiega se l’allargamento della campagna sia giustificato da un calo nell’efficacia dei vaccini in atto. Il report settimanale della fondazione Gimbe riferisce di una protezione ancora molto elevata, intorno al 90% nei confronti del rischio di ospedalizzazione per Covid e persino superiore contro il rischio di ricovero in terapia intensiva. Nel mese di ottobre il numero assoluto di deceduti e ricoverati in terapia intensiva tra i non vaccinati è stato oltre dieci volte superiore a quello registrato tra i vaccinati.

NONOSTANTE QUESTI DATI rassicuranti, la richiesta di vaccinarsi diminuisce. «In tre settimane il numero dei nuovi vaccinati è crollato del 75,4%» recita ancora il rapporto Gimbe.

Difficile parlare di effetto green pass: «Dei 108.497 nuovi vaccinati nella settimana 1-7 novembre il 72,2% appartiene a fasce anagrafiche che includono persone in età lavorativa». Si parla cioè di circa diecimila nuove vaccinazioni giornaliere in persone tra i 20 e i 70 anni.

Corrono a ritmo ben più elevato le terze dosi: se ne fanno circa centomila al giorno a livello nazionale. Tra i sanitari e ultrasessantenni, finora il 40% ha ricevuto la terza dose, con punte dell’81% in Molise e del 61% in Piemonte. Nelle regioni del nord-est (Veneto, Trentino-Alto Adige, Friuli-Venezia Giulia) e in Sicilia, Basilicata e Calabria meno del 30% delle fasce a rischio è stato raggiunto.

Secondo il presidente della fondazione Gimbe Nino Cartabellotta, «l’accelerazione sul fronte delle terze dosi è una strategia fondamentale per contenere la quarta ondata» spiega. «Da questo punto di vista iniziano a preoccupare sia le mancate consegne di vaccini da 4 settimane senza informazioni ufficiali sul piano delle forniture, sia alcune criticità che ostacolano il monitoraggio delle performance delle Regioni, che di fatto vanno in ordine sparso».