Quando si commette un delitto, bisogna nascondere le prove. Oltre a demolire le norme per la difesa dell’ambiente, l’amministrazione Trump si è spesa per rendere più difficile l’accesso ai dati sullo stato dell’ecologia. Dal sito dell’EPA (l’agenzia per la protezione ambientale) sono state rimosse informazioni relative al clima, tanto che tra i «temi ambientali» i cambiamenti climatici nemmeno compaiono. Ad un certo punto era apparso un avviso per informare che il sito era in aggiornamento, ma ad oggi non risulta alcuna nuova sezione.

L’EPA si è anche attivata per limitare e controllare l’accesso agli atti pubblici: in base ad una disposizione pubblicata sul Registro Federale il 26 giugno 2019, i documenti che possono essere richiesti grazie alla legge sulla libertà di informazione devono essere sottoposti in via preliminare a funzionari di nomina politica che decidono se rilasciarli o meno.

A nulla sono servite le lettere di protesta inviate all’EPA da 17 organizzazioni ambientaliste e 39 testate giornalistiche che denunciano la palese violazione del diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione. Contro la disposizione hanno fatto ricorso il Center for Biological Diversity, l’Environmental Integrity Project e i Citizen for Responsibilities & Ethics di Washington, e le cause sono ancora pendenti. Un gruppo di deputati e senatori bipartisan ha presentato l’estate scorsa un progetto di legge per impedire a funzionari governativi di trattenere arbitrariamente atti pubblici. Cosa che l’Epa aveva già fatto nel 2017, quando ha negato a gruppi ambientalisti le relazioni di conformità delle emissioni di metano delle centrali elettriche.

E quando non tutto si può nascondere, vengono messe in campo strategie per sviare o distrarre l’opinione pubblica. Come quella di pubblicare il report annuale sulle emissioni di gas ad effetto serra il giorno dopo la Festa del Ringraziamento, noto come Black Friday, quello consacrato alla corsa ai saldi negli Stati Uniti e allo shopping compulsivo.

Tra le altre malefatte verdi dell’amministrazione Trump non si possono tralasciare le aggressioni verbali ai giornalisti che seguono le questioni ambientali, particolarmente dure nei primi anni quando alla presidenza dell’Epa c’era Scott Pruitt, un lobbista del carbone alla difesa dell’ambiente. Secondo il centro studi di Harvard, l’EPA «ha mostrato la tendenza ad attaccare sia i singoli reporters che i media», con insulti (una giornalista dell’Atlantic è stata apostrofata come piece of trash, cioè immondizia) fino a vietare a certe testate di inviare i propri giornalisti a seguire eventi, come è successo a un giornalista della CNN a cui è stato sequestrato il badge. Anche il New York Times, che ha seguito con regolarità l’involuzione della legislazione ambientale dell’era Trump, è stato preso più volte di mira dall’ufficio stampa dell’EPA con comunicati al vetriolo.

Il 30 luglio scorso, infine, l’EPA ha cancellato il proprio abbonamento a E&E news, uno dei più autorevoli siti su ambiente ed energia, evidentemente troppo indipendente, oltretutto privando i propri dipendenti di una importante fonte di informazione.