Nonostante l’imputazione “pesante” di usura bancaria, di per sé la vicenda giudiziaria non sarebbe troppo impegnativa per Alessandro Profumo, rinviato a giudizio come presidente del Monte dei Paschi al tribunale di Lagonegro, nel potentino, a seguito della denuncia di un imprenditore che aveva aperto, fra il 2001 e il 2006, dei conti alla banca. Il problema è che l’ex banchiere, che era entrato in Mps solo nel 2012 e lo ha lasciato nel corso del 2015, è ora diventato amministratore delegato di Leonardo – l’ex Finmeccanica – e quindi è un manager pubblico. Di qui l’accresciuto peso specifico della grana giudiziaria, amplificato dai dubbi degli analisti sulla nomina di Profumo a capo della gigantesca holding pubblico-privata della difesa e dell’aerospazio.
Per certo ieri a Montecitorio il ministro Padoan ha difeso la decisione di sostituire Mauro Moretti, travolto dalla condanna in primo grado a sette anni per la strage ferroviaria di Viareggio, con l’ex manager di Unicredit ed Mps: “In considerazione della peculiarità del settore e della mancanza di aziende simili in Italia – ha spiegato Padoan – nonché della natura internazionale dell’attività, si è ritenuto privilegiare l’esperienza nello sviluppo internazionale e la capacità di gestire situazioni di forte complessità aziendale”.
Dal canto loro i legali di Profumo, Francesco Mucciarelli e Adriano Raffaelli sostengono da una parte che non sono state superate le soglie di usura, e dall’altra che i contratti risalgono a prima che Profumo entrasse in Mps. Aggiungono che la sua iscrizione nel registro degli indagati è avvenuta perché, quando è stata aperta l’indagine (il 2014), Profumo era il legale rappresentante della banca. Insomma per la difesa il processo, che si aprirà il 28 settembre prossimo, dovrebbe sancire velocemente l’estraneità del loro cliente.
Più complessa, casomai, l’altra vicenda che vede protagonista Profumo. Questa volta al tribunale di Milano, dove il gip sì è riservato di decidere se rinviare a giudizio o meno l’ex banchiere per le ipotesi di reato di falso in bilancio e manipolazione del mercato. Il tutto a seguito della denuncia dell’ex manager montepaschino Giuseppe Bivona, nei confronti di Profumo e del suo ex braccio destro a Rocca Salimbeni, Fabrizio Viola, di aver dato in pasto alla borsa false dichiarazioni sui celebri derivati Alexandria e Santorini, con l’obiettivo di nascondere le operazioni fatte con Nomura e Deutsche Bank. Di più: sempre riferendosi ad Alexandria e Santorini, Bivona accusa Profumo e Viola “di aver fatto contabilizzare alla banca derivati come titoli di Stato e aver presentato tutti i bilanci 2012, 2013, 2014 e la semestrale al 30 giugno 2015, falsi”.
Il gip dovrebbe esprimersi entro Pasqua, e a sostegno di Profumo e Viola c’è anche la richiesta di archiviazione presentata dai pm. Ma con una lettera aperta inviata a Paolo Gentiloni e allo stesso Padoan, il puntuale Bivona ha segnalato: “Al di là dei risvolti penali della vicenda giudiziaria, ricordo che, sotto la leadership del dottor Profumo, Mps ha consumato una distruzioni di valore che ha pochi precedenti nel sistema bancario italiano, con due aumenti di capitale per un totale di otto miliardi di euro che si sono tradotti in un’equivalente distruzione di valore per i soci che li hanno sottoscritti”. Una verità storica. Ma con molti colpevoli insieme a Profumo. In testa gli stessi governi (Monti, Letta, Renzi) che dettero ripetuti via libera alla “soluzione di mercato” per Mps. Con risultati che oggi sono sotto gli occhi, e anche nelle tasche, di tutti.