Leo Varadkar è ufficialmente il prossimo premier irlandese. Ha battuto la concorrenza del rivale Simon Coveney per la guida del Fine Gael, il partito di maggioranza. Nelle prossime settimane il parlamento dovrebbe sancire la staffetta con l’attuale primo ministro e collega di partito Enda Kenny, costretto a dimettersi per la mala gestione di uno scandalo all’interno della polizia. Kenny ha governato per 6 anni e lascia un paese in ripresa economica grazie al traino dell’export e degli investimenti delle multinazionali americane che vi hanno sede, ma profondamente diseguale e con un tasso di crescita degli affitti che somiglia sinistramente a quello della bolla immobiliare che ha contribuito alla crisi.

Varadkar è attualmente ministro per gli affari sociali e con i suoi 38 anni sarà il premier irlandese più giovane della storia. La sua elezione è finita sulle pagine dei giornali di tutto il mondo perché è gay dichiarato (ha fatto coming out durante la campagna referendaria che nel 2015 ha legalizzato i matrimoni omosessuali) e di origini indiane (il padre è un medico emigrato in Irlanda). Impensabile fino a pochi anni fa nella cattolicissima Irlanda, specie se si considera che la legge che criminalizzava l’omosessualità è stata abolita solo nel 1993.

Ma Varadkar rappresenta anche l’ala conservatrice del suo partito. Ha lanciato la sua corsa alle primarie con una campagna molto dura contro le frodi nel sistema di previdenza sociale ed è considerato di impostazione «thatcheriana». Durante le primarie, ha dichiarato di volere un partito rivolto alle persone «che si alzano presto la mattina», mentre il più centrista Coveney ha preferito riferirsi a una «società equa». Di carattere conservatrice anche la sua posizione sul diritto all’aborto, che in Irlanda è ancora sostanzialmente illegale a causa dell’ottavo emendamento della costituzione, che equipara il diritto alla vita del nascituro a quello della madre. Se da un lato Varadkar si è pronunciato per la rimozione dell’ottavo emendamento dalla costituzione, dall’altro si è dichiarato a favore del diritto all’aborto solo in circostanze estreme come lo stupro o in caso di malformazioni potenzialmente letali per il feto.

E proprio l’aborto sarà una delle prime questioni di cui il futuro premier dovrà presto occuparsi. A sorpresa, la Citizen Assembly, un gruppo di 99 cittadini estratti a sorte a cui toccava il compito di raccomandare delle linee guida al parlamento per legiferare sull’interruzione di gravidanza, ha emesso un parere a favore del diritto all’aborto senza ulteriori restrizioni fino a 3 mesi dal concepimento. Ma il parlamento è diviso e Varadkar si troverà alla guida di un esecutivo con una risicata maggioranza. Un’altra sfida riguarda la posizione dell’Irlanda in Europa dopo la Brexit. Al di là dell’impatto economico potenzialmente negativo sugli scambi commerciali fra i due paesi, l’Irlanda perde un prezioso alleato nella difesa della sua bassissima tassa sulle imprese, che nominalmente è al 12.5 per cento ma che in pratica, come ha mostrato il caso di Apple, può essere assai più bassa. Una buona fetta del modello di sviluppo irlandese, trainato dagli investimenti esteri, si basa sul suo regime fiscale. Se la nuova alleanza Macron-Merkel dovesse spingere verso una maggiore uniformità a livello europeo della tassa sulle corporation (una posizione sostenuta da tempo dal francese Pierre Moscovici), e se Londra dovesse adottare una tassazione ancora più vantaggiosa una volta fuori dall’Europa, Varadkar si troverà ben presto a dover fare scelte complicate.