I 718 decessi e i 19 mila contagi registrati nelle ultime 24 ore fanno paura, ma si tratta di numeri da spiegare. Il conto delle vittime infatti comprende anche 258 vittime emerse in Sicilia dopo un riconteggio e che si riferiscono alle scorse settimane. La cifra reale quindi è di 460 vittime in un giorno: un bilancio comunque pesante perché dimostra che il picco dei decessi non è stato ancora raggiunto.

PER LA TERZA SETTIMANA di seguito almeno il numero di nuovi positivi segna una diminuzione, riferisce il report settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità. Stavolta è anche più marcata del solito perché il calo è del 23%.

Il dato potrebbe essere stato in parte influenzato dal calo dei tamponi corrispondente al weekend pasquale. Ma la tendenza è confermata anche dall’indice Rt rimasto a 0,92, sotto della soglia critica 1 che segnala l’accelerazione del contagio. E dall’incidenza in calo, scesa a 210 casi per 100 mila abitanti registrati nella settimana 29 marzo-4 aprile, rispetto ai 232 di sette giorni prima.

Che il quadro sia in lento miglioramento lo si vede anche dalla nuova colorazione della mappa del rischio elaborata dalla cabina di regia (ministero, Iss e regioni). Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lombardia, Piemonte, Toscana e Calabria passano dalla zona rossa a quella arancione. La Sardegna fa il percorso inverso: dopo essere stata l’«isola felix» in zona bianca ora ha l’Rt più elevato d’Italia (1,54). Nella regione l’incidenza è comunque bassa (110, circa la metà della media nazionale). Ma l’indice indica un trend in peggioramento e la zona rossa punta proprio a fermare la risalita prima che diventi incontrollabile.

A LIVELLO NAZIONALE, il picco della terza ondata forse è stato raggiunto negli ospedali, con il terzo calo in tre giorni del numero di pazienti ricoverati in terapia intensiva. I 3.603 letti occupati rappresentano il 41% della disponibilità totale. Dato che circa il 70% dei posti servono per le altre emergenze sanitarie, quando i pazienti Covid occupano più del 30% dei reparti di rianimazione gli interventi chirurgici programmati devono essere rimandati. Sono ben 15 le regioni sopra la soglia. La situazione più critica è in Lombardia, dove il tasso di occupazione raggiunge il 60%. «La pressione sulle terapie intensive è, paradossalmente, un effetto collaterale di un fatto positivo», spiega Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss. «Anche grazie alle vaccinazioni tra gli anziani, l’età media dei contagiati sta lentamente calando. Perciò negli ospedali ci sono pazienti che hanno maggiore speranza di sopravvivenza, e che dunque permangono più a lungo nei reparti di degenza, facendo salire il tasso di occupazione».

SONO QUESTI GLI INDICATORI che preoccupano gli esperti, che non vogliono sentir parlare di riaperture. Di quelle si ragionerà a maggio anche alla luce di indicatori diversi da quelli attuali. Il governo ha messo al lavoro un «tavolo tecnico permanente di confronto per la revisione o l’aggiornamento dei parametri per la valutazione del rischio epidemiologico» a cui partecipano governo, Comitato tecnico scientifico e regioni. L’obiettivo è riscrivere i parametri usati per assegnate le zone colorate alle regioni. Il lavoro del tavolo procede nel silenzio e dovrebbe partorire i nuovi indici. «L’idea è di eliminare quegli indicatori che sono ormai poco utili, e concentrarsi su quelli che i sono dimostrati più utili» spiega chi segue il dossier al ministero, perché rispetto a quando sono stati definiti gli indicatori (alla fine del lockdown della primavera del 2020) i fattori determinanti per valutare il rischio sono cambiati.

PER LE RIAPERTURE di maggio si terrà conto anche di altri fattori, come la percentuale della popolazione vaccinata – in particolar tra gli over 70 – e la diffusione delle varianti, anche se il consorzio di ricerca che doveva monitorarle, annunciato a gennaio, non è mai partito.

Il sistema di 21 indicatori è stato spesso ritenuto elefantiaco e poco trasparente. Sui parametri da eliminare però non c’è consenso tra le regioni. Alcuni parametri, come gli indici del tracciamento, oggi sono inutili per stessa ammissione dei membri del Cts. A questi livelli di contagio, ripetono da mesi, individuare i contatti delle persone contagiate è praticamente impossibile e la app Immuni non ha mai davvero dato un vero aiuto. Eppure, ancora oggi 17 regioni su 20 dichiarano di effettuare «regolare indagine epidemiologica con ricerca dei contatti stretti» su oltre il 90% dei casi positivi. Dunque, le regioni non rinunceranno facilmente a questi indicatori che fanno fare bella figura anche se dicono poco della realtà. Mettere d’accordo le regioni non sarà facile. Non è escluso che nel nuovo sistema gli indicatori siano ancora più di quelli attuali.