La zona rossa di Pasqua, da oggi a lunedì, arriva quando il virus è tutt’altro che in ritirata. Il bollettino del giorno segna quasi 22 mila nuovi casi e 481 decessi in 24 ore. Ma c’è chi sorride: da martedì il Veneto, le Marche e la provincia autonoma di Trento passeranno dalla zona rossa a quella arancione, mentre le altre regioni manterranno la loro collocazione. La decisione è contenuta nell’ordinanza del ministro della salute Speranza che ritocca la mappa dei colori sulla base delle valutazioni della “cabina di regia” composta da ministero e Istituto Superiore di Sanità.

LA TENDENZA al (lento) miglioramento prosegue: l’incidenza a livello nazionale è di 239 nuovi casi ogni centomila abitanti in sette giorni, appena sotto i 247 casi dello scorso rilevamento ma elevata rispetto ai 50 casi settimanali ogni 100 mila abitanti sotto i quali le strutture sanitarie possono realisticamente tracciare e circoscrivere i focolai epidemici. Il calo millimetrico si riflette sull’indice di trasmissibilità Rt, sceso a 0,98 sul piano nazionale. Non diminuisce tuttavia la pressione sugli ospedali. I pazienti Covid occupano il 41% dei letti in terapia intensiva, il 2% in più rispetto a una settimana fa. Dato che le altre urgenze e le cure post-operatorie occupano normalmente il 70-80% dei posti letto la coperta è corta: per curare i pazienti Covid bisogna ritardare gli interventi chirurgici programmati. Il 30 marzo, i casi di Covid-19 in terapia intensiva erano 3716, un valore vicino al picco di 3.848 posti letto occupati nella seconda ondata e ai 4.068 del momento più buio della prima ondata, esattamente un anno fa. La buona notizia è che negli ultimissimi giorni qualche letto si è liberato. Lo stesso sovraccarico c’è anche nei reparti ordinari, dove i pazienti Covid da soli rappresentano il 44% dei ricoverati (+800 ricoverati in una settimana).

L’INDICE RT finora si è rivelato un buon indicatore dell’evoluzione futura del numero di malati e se oggi è a 0,98 si può sperare che il picco sia stato superato.

Ci attendono tre giorni di quasi-lockdown, poi in aprile riapriranno le scuole fino alla prima media e gli esperti ne temono l’impatto. Non sono sicure, come ha detto il premier Draghi annunciando il ritorno tra i banchi? «In realtà dati precisi sulla scuola non ci sono» ammette Silvio Brusaferro, presidente dell’Iss. Il medico parla di «indicazioni unanimi» che il contagio in età scolare non sia indipendente da quello generale. «Misure come le zone arancioni sono in grado di controllare la crescita dei casi collegata anche ai movimenti scolastici, e questo è il motivo per cui anche in un momento di lento decremento delle infezioni è importante rispettarle». È una scommessa che non vale la pena fare per le scuole superiori: «L’età dai 10-12 anni in su è considerata più a rischio».
Per le prossime settimane oltre al calo dei numero dei casi è atteso l’aumento del numero delle vaccinazioni. Finora, rispetto ai piani previsti per il primo trimestre 2021 solo Pfizer ha mantenuto gli impegni, consegnando quasi 9 milioni di dosi entro fine marzo. Moderna e AstraZeneca, con 800 mila e 2,7 milioni di dosi, hanno consegnato circa la metà di quanto pattuito.

«In aprile avremo milioni di dosi, e un quarto vaccino (Johnson&Johnson, ndr)» spiega il dg della prevenzione al ministero della salute Gianni Rezza. «C’è già stata un’accelerazione – aggiunge – abbiamo superato le 250 mila somministrazioni giornaliere». L’obiettivo non è raggiungere l’immunità di gregge, un’espressione che a Rezza non piace. «Eventualmente preferirei parlare di “comunità”, non siamo pecore. Ma non sappiamo ancora quanto i vaccini proteggano dall’infezione e non solo dai sintomi», anche se negli ultimi giorni sono arrivate notizie confortanti in questo senso dagli Usa almeno per i vaccini a mRna. «Inoltre non abbiamo ancora individuato una categoria che sostiene il contagio, come avviene con l’influenza trasmessa soprattutto dai bambini». Questo ha obbligato a vaccinare chi è più fragile e non chi alimenta la circolazione del virus: «Un fattore che può ritardare il raggiungimento dell’immunità di comunità». Quindi, porte chiuse alla vaccinazioni di categorie professionali a rischio contagio, come chi sta dietro a una cassa del supermercato. «È certamente una categoria molto esposta. Però nelle raccomandazioni del piano vaccinale non sono più previste categorie prioritarie, dopo gli insegnanti e le forze dell’ordine. Utilizziamo solo il criterio dell’età, per accelerare le procedure e proteggere i più fragili. Spero – conclude – che la soluzione a tutti i problemi venga da un’accelerazione della campagna vaccinale, che faccia sì che entro due o tre mesi tutta la popolazione che lo desidera sia vaccinata».