Facciamo finta che a favore della presentazione di liste autonome alle prossime regionali di Emilia Romagna e Calabria abbiano votato in 20.000. Facciamo anche finta che il quesito fosse chiaro: chi voleva presentarsi doveva votare No. Una scelta bipolare per un quesito a risposte multiple. Si può essere contrari alla riorganizzazione (necessaria a mio avviso) e alla presentazione, favorevoli alla riorganizzazione e contrari alla presentazione in Emilia Romagna e favorevoli a presentarsi in Calabria o viceversa, favorevoli o contrari alla riorganizzazione e assolutamente indifferenti alla Calabria e all’Emilia Romagna o a una sola delle due. In teoria si poteva essere favorevoli alla presentazione con liste proprie, in coalizione con la Lega o con il Pd o con liste civiche ed ambientaliste.

Resta il fatto che 20.000 sono lo 0,19% dei 10.500.000 elettori delle politiche 20018 e lo 0,44% dei 4.500.000 delle europee 2019, per rappresentare almeno l’1% degli elettori, questi ultimi dovrebbero scendere a 2.000.000 (esito sperato o temuto) ovvero la maggioranza dei votanti sulla Piattaforma Rousseau salire a 45.000. Se come impone la legge, fosse impossibile tracciare i profili dei votanti per classi di età, reddito, grado di istruzione, nemmeno potremmo sapere quanto la maggioranza sia rappresentativa dell’elettore medio pentastellato. Per pura curiosità i 20.000 (arrotondati per eccesso) sono, a scala nazionale, il 12,54% dei 159.456 voti emilian-romagnoli del M5S alle elezioni regionali del novembre 2014: quelle del record negativo di partecipazione con il 37,71% degli aventi diritto.

Nelle elezioni regionali in genere i candidati Presidenti devono presentarsi, a pena di nullità, collegati a una o più liste in consiglio regionale e ugualmente a pena di nullità non possono presentarsi liste per il Consiglio regionale se non collegate a un candidato presidente. Quindi i M5S o sono la maggioranza relativa o possono solo perdere, nemmeno condizionare il vincitore, perché i premi di maggioranza vanno dal 55% al 60% dei seggi. In Emilia Romagna, come in Umbria, i M5S sono stati forza di opposizione al Pd, non possono allearsi solo perché governano insieme, Si impari dalla Germania: i governi dei Land non riflettono automaticamente la maggioranza del Bundestag perché si vota con la proporzionale e l’equivalente del nostro Presidente regionale, è eletto dopo le elezioni e finora è sempre il leader del partito più votato tra quelli che formano la maggioranza, non di quello decisivo a formare una maggioranza.

Stesso problema con la maggioranza giallo-verde, se voleva governare l’Emilia Romagna doveva coalizzarsi con la Lega. Il difetto sta nel manico, cioè nella legge elettorale regionale che non prevede di norma il ballottaggio, grimaldello storico dei 5 stelle. Dovevano pensarci quando erano in posizione di forza. L’errore è stato di aver mantenuto leggi maggioritarie bipolari in un sistema politico diventato tripolare. Il M5S non ha capacità di coalizzare, il Pd sì ma non ha forza, vince con le leggi attuali il centrodestra, egemonizzato dalla Lega. Unica risposta è una legge proporzionale, ma il danno può essere ridotto con meccanismi di ballottaggio per le cariche monocratiche e possibilità di alleanze diverse tra il primo e secondo turno, togliendo il monopolio dei partiti e movimenti politici organizzati alla presentazione di candidati e liste di candidati (art.14 dpr n. 361/1957) e il privilegio dell’esenzione alla raccolta firme di presentazione liste.