Sono 26.490 gli immigrati identificati e sbarcati sulle nostre coste a partire dallo scoppio delle primavere arabe nel 2011, fino al marzo 2013 quando è stata dichiarata chiusa l’«emergenza Nord Africa». Il dato lo fornisce Stefano Mencherini in Schiavi, il film inchiesta presentato ieri nella sala dell’Associazione stampa estera, che ricostruisce il calvario di queste migliaia di uomini, donne e bambini, iniziato tra le guerre civili che dilaniano l’Africa subsahariana e purtroppo non ancora terminato, a causa delle pratiche di sfruttamento a cui i migranti sono stati sottoposti anche dopo l’arrivo in Italia.

Mentre continua la conta dei centinaia di corpi ripescati vicino Lampedusa, la presentazione del documentario, prodotto con la collaborazione di Flai Cgil e l’associazione Less onlus, ha rappresentato un’ulteriore occasione per discutere d’immigrazione. Vera Lamonica, segretaria nazionale Cgil ha ricordato: «La Bossi-Fini va cancellata non solo per la sua matrice razzista, ma perché, coi suoi contenuti, tende ad abbassare la soglia dei diritti di tutti i lavoratori».

Schiavi affronta anche il problema del caporalato, a cui sarebbero sottoposti circa 40 mila lavoratori agricoli «sommersi» secondo le ultime stime di Flai Cgil. Testimoniano la sua esistenza i ghetti di Rosarno, Rignano Garganico, Pachino, dove migliaia di uomini in attesa di un permesso di soggiorno o senza documenti vivono in condizioni al limite della sopravvivenza, schiavizzati dai sistemi mafiosi locali per 25 euro al giorno.
Non è andata meglio ai circa 5 mila profughi arrivati in Campania: la Protezione civile, a cui è stata affidata l’«emergenza», ha dato 45 euro al giorno per migrante agli albergatori che si sono occupati dell’accoglienza. Ma gli “ospiti”, di fronte alla telecamera, hanno raccontato di giri di droga e di prostituzione, d’infiltrazioni mafiose, di assenza totale di politiche d’integrazione.

Ibrahim, trentenne ivoriano, è il protagonista della storia: sfuggito alla guerra civile, comprato in Libia da un proprietario terriero, è approdato anche lui a Lampedusa. Ma pensa di lasciare Napoli per Rosarno. La ragione? Lavoro. Su questo l’autore del documentario ha dichiarato indignato: «Dimostriamo la grande umanità di questo paese non con lacrime di coccodrillo, ma restituendo dignità a gente come lui».