Signore e Signori, non posso dirvi quanto sia felice di partecipare qui con voi oggi a questo confronto di vitale importanza per il futuro dell’agricoltura su piccola scala e dei produttori di cibi artigianali di tutto il mondo. Ho sempre creduto che l’agricoltura fosse non solo la più antica, ma anche la più importante delle attività umane. È il motore del lavoro rurale e costituisce la base della cultura, nonché della civiltà stessa. Badate bene, non si tratta di una visione romantica del passato: oggi il 60% dei 4 miliardi di persone che abitano nei Paesi in via di sviluppo sta ancora lavorando la terra. Così, quando mi capita di leggere delle “visioni”, come quella elaborata per lo Stato indiano di Andhra Pradesh, basata sulla trasformazione delle economie agricole locali in fucine dell’agricoltura tecnologica, incentrata sulla monocoltura, sui fertilizzanti di sintesi, sui pesticidi e sugli Ogm, il mio cuore si spezza. Quello che manca a questi progetti è sempre la garanzia di condizioni di vita sostenibili: l’assenza di essa aumenta il proliferare, già esistente e terribile, di città degradate, poco funzionali e difficilmente gesti- bili. Una risorsa di cui il mondo in via di sviluppo è provvisto in abbondanza sono le persone. Perché allora promuoviamo sistemi agricoli che ignorano questa ricchezza e che sono destinati a incrementare la miseria e la perdita della dignità umana?

E’ abbastanza conosciuta la mia posizione sui cibi geneticamente modificati. Non credo, per esempio, che tutto sommato contribuiranno a incrementare il bene dell’umanità. Pensandola così, non sto facendo semplicemente il dogmatico. Credo sia legittimo e importante domandarsi se la fiducia della gente nel potenziale di queste e altre nuove tecnologie sia frutto di un ottimismo irreale o piuttosto di una mega-pubblicità generata da soggetti interessati. Ma alla lunga questi metodi risolveranno realmente i problemi dell’umanità o ne creeranno di nuovi? E come li regoleremo con efficienza? Ci sono un gran numero di esempi, fatti in passato, di metodologie utilizzate per controllare gli insetti nocivi o per migliorare l’ambiente che poi si sono rivelate dei veri e propri disastri. E sono convinto che non abbiamo imparato la lezione, perché «manipolare la Natura è un business pericoloso».

Anche se sottovalutiamo i potenziali effetti di questo disastro, ci domandiamo se questa sia la direzione giusta da intraprendere. Se negli ultimi 15 anni tutti gli investimenti in biotecnologie agricole fossero stati utilizzati per studiare tecniche convenzionali sostenibili credo che avremmo assistito a straordinari progressi nelle campagne. Il problema, forse, è che tecniche come la rotazione delle colture, la fertilizzazione naturale e la disinfestazione biologica offrono una prospettiva commerciale meno allettante agli occhi degli investitori. Le persone che ne guadagnerebbero sono i tanto derisi praticanti della cosiddetta «agricoltura contadina», che hanno pochi soldi, ma che sono i veri guardiani della biodiversità. Qualche anno fa sarebbe stato impossibile immaginare che così tante persone di tutto il pianeta, direttamente o indirettamente coinvolte nella produzione alimentare artigianale o interessate al consumo dei frutti di questo lavoro, potessero riunirsi in questo modo. Slow Food vuol dire cibo tradizionale. È anche cibo locale – e la cucina locale è uno dei modi più importanti con cui identifichiamo il luogo o la regione in cui viviamo. È la stessa cosa con gli edifici dei nostri paesi, le nostre città e villaggi. Luoghi ben progettati, che hanno un rapporto con il territorio e il paesaggio e che mettono le persone prima delle auto, arricchiscono tutti noi donandoci un senso di fratellanza e di comune origine. Tutte queste cose sono collegate. Non vogliamo più vivere in blocchi di cemento che si possono trovare in qualsiasi luogo del mondo così come non vogliamo mangiare cibo anonimo e scadente che può esser acquistato ovunque. Alla fine della giornata i valori come sostenibilità, comunità, salute e gusto sono più importanti della convenienza.

Slow Food si preoccupa di celebrare la cultura del cibo e di divulgare le conoscenze straordinarie – acquisite nei millenni – sulle produzioni tradizionali di cibo di qualità. Quindi è importante chiedere come questo incontro possa promuovere quegli ideali su scala più vasta, in particolare quando dobbiamo confrontarci con fenomeni come la globalizzazione. Credo che voi siate in una posizione migliore della mia per rispondere a questa domanda, ma per quanto vale, credo che semplicemente riunendoci e condividendo idee, partecipando al movimento internazionale Slow Food e incontri di questo tipo, le risposte verranno, come dire, naturalmente! Su questo tema mi sembra che altre grandi associazioni gastronomiche, di cui sono membro, il movimento biologico, per esempio, abbiano tante cose in comune con Slow Food e questa condivisione di obiettivi dovrebbe essere una fonte ulteriore per lavorare insieme.

Potrei sbagliarmi ma mi sembra che partecipare a un evento del genere possa generare dell’ottimismo e che la gente si possa giovare del consumo di prodotti genuini. Questo può accadere in una mensa scolastica o a un incontro con produttori di cibo artigianale o anche solo sentendosi raccontare più cose sull’agricoltura sostenibile e sui benefici nutrizionali del cibo artigianale. Le persone toccate da questi concetti e ispirate da un’esperienza del genere sicuramente vorranno immediatamente partecipare a un movimento come il vostro che porti a un reale cambiamento. L’importanza di Slow Food e di voi non può esser abbastanza sottolineato. È per questo, dopo tutto, che io sono qui: per provare ad attirare l’attenzione su questo evento, perché in determinate circostanze «piccolo sarà sempre bello» e per ricordare alla gente, come fece John Ruskin, che «un’industria senza arte è brutale». Dopo tutto, gli alimenti che voi producete sono molto più di semplice cibo, poiché rappresentano un’intera cultura. La zootecnia, la lotta contro gli elementi della natura, l’amore per il paesaggio, i ricordi d’infanzia, la saggezza imparata dai nonni e parenti, la comprensione intima delle condizioni climatiche locali, le speranze e i timori delle generazioni che seguono sono elementi imprescindibili. Rappresentate l’agricoltura genuina e sostenibile e per questo io vi saluto.

* per gentile concessione di Slow Food