Gli occhi, più grigi che cerulei, ti chiedi se guardino verso un punto lontano. Lo sguardo è fermo, ma forse, consideri, non è che si sia poggiato su un qualche oggetto che la incuriosisca. Quegli occhi non scrutano, non indagano, non cercano. Sono gli occhi, piuttosto, di chi è preso in un suo pensiero e la loro luce proviene dall’interno, come accade a chi non si cura di quanto gli sta d’attorno.

Occhi, allora, che non fanno trasparire una determinata emozione, ma possono rivelare un carattere che affiora e ti si rivela inaspettatamente, allorché cogli d’un tratto l’espressione di uno sguardo che non è rivolto a te o ad altro, ma è concentrato in sé stesso e manifesta, senza avvedersene, uno stato d’animo. Lei è immobile. La testa, lievemente volta a sinistra. E le regolari, poco arcuate labbra, che non ha sottili e non ha piene, tiene serrate. Ferma.

Addirittura la diresti impegnata a evitare, per quanto possibile, il battito delle palpebre. Ed è, con tutta evidenza, attenta a che la posizione del collo non muti d’un ette. È necessario che lei mantenga l’equilibrio prospettico delle linee del suo volto: l’arco della ampia fronte, il rilievo pur dolce dello zigomo, la curva aggraziata del naso e la sinuosità del mento. Lei è immobile da almeno venti minuti. Da tanto infatti, se non ancor più, è in posa. Hans Holbein la sta oggi ritraendo. Lei non sa a che punto sia l’esecuzione del ritratto, né quanto ancora debba restare immobile.

Non è rivolta, si è detto, al pittore. Non è in grado di seguire dunque l’andamento della sua mano, il procedere della matita sul foglio e intuire quanto resti ancora da fare. Se lo chiede, ora, dopo avere, si accorge, perso da un po’ la cognizione del tempo. Da quanto? E per quanto? Holbein, nel frattempo, non l’ha richiamata pregandola di non muoversi, sollecitandola a mantenersi attenta alla consegna di restare in quella postura nella quale l’aveva, fin dall’inizio della seduta, atteggiata.

È che in lei, una volta resasi sicura d’essere in grado di restar composta e senza perdere il controllo, certi pensieri o non previsti ragionamenti avevano preso a muoversi seguendo taluni loro percorsi spontanei, assai vicini, se non proprio gli stessi, ai sentieri lungo i quali si avviano e fanno talvolta ressa immagini, frasi interrotte e ripetute più d’una volta invariate, sospese e mozze prima che il corpo si affidi al sonno e col sonno alla chimera dei sogni.

Lei avverte ora un disagio che cerca di non mostrare chiedendosi: sono quegli intimi, non compiuti e incontrollati miei pensieri che Holbein ha or ora registrato e trasposto nelle linee riconoscibili del mio volto? Senza dubbio, tu che osservi quegli occhi più grigi che cerulei, constati che Holbein li ha disegnati mentre erano intenti a guardar le figure, le parole e le commiste luci che dentro di lei, immobile e in posa, si stavano muovendo e la portavano lontano. Nel momento, che era sparito Holbein e la stanza con lui e c’era invece lei perduta in sé stessa a ritrovarsi.

Così, se non il tutto della sua vita, certamente molto, tu che lei guardi dopo cinque secoli, di lei, del suo carattere percepisci intatto ed ai tuoi occhi vivo. Lei: Ritratto di signora inglese con cappello e cuffia, lapis rosso e nero, lumeggiature bianche su carta dipinta in acquarello rosa, tagliata lungo i contorni, 280×190 millimetri, Londra, British Museum (n. 1910 2 12 105).

Ritrae Holbein colei che gli è di fronte in sintonia con lo stato dell’animo che al momento la tiene, con l’intento di fissare quel sentimento vivo nel costrutto del disegno che egli viene eseguendo. Da una sintonia a una simmetria. La relazione istituita in presenza trasferisce quel ‘presente’ della indelebile forma ritratto come un tempo che si afferma integro e attuale in te che quel ritratto osservi. Quel disegno fu eseguito da Holbein negli anni del secondo soggiorno in Inghilterra, circa un decennio, dal 1532 al 1543, quando il pittore quarantaseinne fu tra le vittime della peste che infuriò quell’anno. Non si è conservato il nome di lei. Non il nome, ma molto di lei so di conoscere.