Non occorrevano doti da indovino per prevedere che, dopo la recente decisione dell’Egitto di proclamare “organizzazione terroristica” il movimento islamico Hamas, costola palestinese dei Fratelli Musulmani, sarebbe stata la popolazione della Striscia di Gaza a pagare i costi più alti di quel passo. Le conseguenze già si vedono e in futuro andranno ben oltre quelle provocate dalla chiusura del valico di Rafah che ora, quando va bene, apre cinque giorni al mese. Senza dimenticare l’avvenuta distruzione di circa 1.300 tunnel sotterranei che consentivano il passaggio dal Sinai verso Gaza delle merci necessarie per tenere in linea di galleggiamento una popolazione che deve fare in conti con il blocco israeliano. Alla lunga lo strangolamento egiziano potrebbe avere risultati altrettanto devastanti della pressione israeliana su Gaza cominciata nel 2006.

Le autorità egiziane golpiste – che hanno deposto il presidente islamista Mohammed Morsi e abbattuto il governo della Fratellanza – hanno spesso usato la magistratura per colpire i nemici politici. E i giudici sono ora protagonisti della demolizione di Hamas. Ormai non passa giorno senza che il Cairo comunichi nuove sentenze e provvedimenti contro i Fratelli Musulmani e il movimento islamico palestinese, che di fatto sono contro la gente di Gaza. Uno di questi è l’apertura dell’inchiesta su 13.757 palestinesi in possesso della cittadinanza egiziana. Passaporti da annullare secondo il Cairo, perchè concessi per “motivi politici” dall’ex presidente Morsi, ora sotto processo, allo scopo di far compiere violenze e attentati in Egitto. Accuse che Hamas continua a respingere, sottolineando che sarebbe stato assurdo da parte sua “complottare” contro la stabilità e la sicurezza dell’Egitto, Paese che rappresentava, sotto la presidenza Morsi, il suo principale alleato. A Gaza tra migliaia di famiglie ora regna il panico. Se da un lato non poche di quelle cittadinanze sono state concesse con facilità dalle passate autorità egiziane a esponenti e quadri di Hamas per facilitarne i movimenti. Dall’altro quei passaporti sono stati ottenuti regolarmente da migliaia di persone che vedranno svanire l’unica possibilità di poter uscire e rientrare a Gaza passando per il valico di Rafah.

«L’avversione egiziana verso le autorità di Gaza si ripercuote su tutta la popolazione della Striscia. A farne le spese è soprattutto la popolazione civile – spiega la fotoreporter Rosa Schiano che risiede e lavora a Gaza – le forze armate egiziane hanno chiuso il valico di Rafah ormai da un mese e lo aprono solo pochi giorni per consentire a gruppi di pellegrini di recarsi in Arabia Saudita e ad alcuni palestinesi bloccati in Egitto di rientrare». L’uscita da Gaza, aggiunge Schiano, «E’ negata. Molte centinaia di palestinesi aspettano con ansia notizie sull’apertura del valico. Io stessa non ho potuto far ritorno in Italia». L’assedio israeliano ed ora la chiusura da parte egiziana, prosegue la fotoreporter, «colpiscono le condizioni socio economiche della Striscia che appare ancora più isolata dal resto del mondo». Schiano ricorda le numerose deportazioni dall’Egitto di attivisti internazionali che intendevano raggiungere la Striscia, e il secco “no” opposto dalle autorità al transito di giornalisti stranieri «negando così libertà all’informazione e impedendo la copertura di ciò che accade a Gaza».
A inizio settimane si era appreso dell’espulsione della nordirlandese e premio Nobel per la pace, Mairead Maguire, e della pacifista americana Medea Benjamin (Code Pink), all’aeroporto del Cairo dove sono state bloccate in totale 58 donne statunitensi, francesi e belghe, parte di una delegazione diretta a Gaza per celebrare l’8 marzo. Secondo il portavoce del ministero degli esteri egiziano, Badr Abdel-Attie, alle donne sarebbe stato negato l’ingresso perchè sprovviste dei documenti necessari per raggiungere la Striscia e per la “pericolosità” del Sinai, territorio dove l’Esercito egiziano e formazioni qaediste armate si combattono da mesi senza esclusione di colpi.