Il nome di Johan Jakob Bachofen è indissolubilmente legato alla questione del matriarcato, alla quale lo storico e giurista svizzero ha dedicato non solo il proprio opus magnum, ma anche una serie di studi e di ricerche svolte durante l’intero corso della vita: di questi è da poco disponibile una nuova antologia, Il potere femminile (Mimesis, pp. 244, € 22,00) nella quale la curatrice Eva Cantarella ha riunito non solo alcune tra le pagine più celebri e metodologicamente significative del capolavoro dell’autore, ma anche testi inediti e rarità ormai introvabili. Gli studi più recenti hanno ridimensionato la plausibilità della tesi fondamentale di Bachofen, che dimostrava l’esistenza, nel tardo neolitico, di un ordinamento giuridico, politico e religioso di tipo matriarcale: ipotesi non pienamente verificabili dal punto di vista documentale e archeologico.

La lettura di Benjamin
Eppure, forse l’interesse dei suoi studi risiede altrove. Walter Benjamin scrisse che le ricerche di Bachofen andrebbero intese come «profezie scientifiche»: da esse, infatti, non dobbiamo tanto aspettarci «previsioni esatte», quanto la prima formulazione di una sensibilità scientifica ancora di là da venire. Gli studi di Bachofen hanno di fatto anticipato quell’interesse per gli elementi rimossi della storia e della cultura, che sul piano scientifico solo anni dopo avrebbero dato impulso a nuove discipline come la psicoanalisi, o alla svolta etno-antropologica negli studi sull’antichità. Stabilire l’ipotesi di un potere femminile significava mettersi sulle tracce di elementi che, per i saperi e le istituzioni tradizionali, non potevano se non restare sepolti nelle profondità di un inconscio collettivo: la sola possibilità di un matriarcato, infatti, metteva in luce il carattere contingente tanto delle scienze come dei loro oggetti. In questo senso, le ricerche di Bachofen manifestano in maniera peculiare quella che Benjamin chiama una «sensibilità per l’avvenire»: non solo in quanto sperimentazione di nuove configurazioni per lo studio della cultura, ma anche in quanto prefigurazione di alternative nella storia.

Dimostrano anzitutto quanto profondamente problematico sia lo statuto scientifico delle cosiddette scienze umane: la ricerca umanistica mette sempre immediatamente in gioco l’interrogante, che nell’esercizio delle sue indagini contribuisce a plasmare storicamente la sua propria soggettività. Ogni ricerca umanistica, tanto nella scelta dei propri oggetti, quanto attraverso le costellazioni di senso in cui li inscrive, assorbe i sistemi di orientamento politici e culturali che plasmano in profondità la nostra visione del mondo e contribuisce a stabilirli. Per questo, le scienze umane vivono di una revisione necessariamente incessante dei propri statuti metodologici.
Le ricerche di Bachofen, prendendo ad oggetto le origini nascoste delle istituzioni sociali e giuridiche patriarcali – oggetto assodato delle scienze dello spirito dell’epoca – mettevano quindi in discussione tanto le prime, quanto le seconde. Da quel momento, i rapporti con l’accademia ne furono irrimediabilmente compromessi: «Nessuno è calunniato come colui che stabilisce i legami fra il diritto e le altre forme di vita», scriveva Bachofen nella propria autobiografia.

Fu dal maestro della scuola storica del diritto, Savigny, che trasse l’intuizione più inattesa, quasi sovversiva: le istituzioni giuridiche non sono fondate né in sé stesse, né sulla ragione, ma affondano le proprie radici in quel crogiuolo irrazionale e oscuro di sentimenti e di pratiche che chiamiamo «spirito dei popoli». Ciò significa però non solo che proprio quelle istituzioni in cui si incarna la ragione oggettiva non vantano a loro volta un’origine ragionevole; ma anche che l’ordine giuridico patriarcale e proprietario risulta, come ogni altra «costruzione che poggia sulla terra», contingente ed eventualmente transitorio.

Il passato come possibilità
Si spiega così perché, come illustra bene la curatrice nell’introduzione, l’ipotesi del matriarcato abbia potuto rappresentare tanto una suggestione reazionaria per i pensatori di destra, quanto una promessa di futuri alternativi per i teorici del socialismo. È forse proprio in questo senso che le ricerche di Bachofen mostrano pienamente la loro «sensibilità per l’avvenire»: esprimono, infatti, nella forma dell’ipotesi scientifica, la possibile discontinuità nella storia, che tanta importanza avrebbe avuto per il Benjamin critico del progresso. Articolare storicamente il passato non significa tanto conoscerlo «come propriamente è stato» – scriveva infatti Benjamin – quanto avvertirlo come istante che balena nel momento del pericolo, della possibilità. Forse in questo, del resto, risiede il compito più essenziale dell’umanista: nel ricercare nella storia le possibilità che non si sono potute ancora realizzare.