Il mondo ha senso solo se è comune e condiviso. Continuare a pensare la questione migratoria è un compito politico imprescindibile nel nostro tempo. «Se la condizione di esilianza dovesse portare all’elaborazione di un nuovo diritto universale di movimento, il diritto all’esilio sarebbe il presupposto essenziale per il diritto d’esilio che, a sua volta, definirà i criteri per un nuovo status di esuli, ossia il diritto di appartenere all’umanità», sostiene Alexis Nuselovici (Nouss) in Diritto d’esilio (Astarte, pp. 160, euro 15). Tradotto da Carolina Paolicchi e curato da Federico Oliveri, (direttore della collana Hurriya, «ricerche sulle migrazioni, accomunate dalla critica verso il regime dei confini e dall’interesse per le forme in cui rivive la più antica libertà umana: quella di scegliere dove vivere»), quello di Nuselovici è un testo intelligentemente provocatorio che propone un ripensamento del concetto di esilio e della condizione umana, e chiede il riconoscimento della figura del migrante come soggetto politico.

NON PIÙ UN DIRITTO D’ASILO, per come era stato istituito in risposta all’emergenza che seguì la Seconda guerra mondiale, e ormai inadatto a rispondere alle necessità della contemporaneità, ma il diritto d’esilio, ossia di muoversi nello spazio oltre i confini. Il migrante non è semplicemente una vittima, ma per sua natura e per il suo numero, è una figura al prisma della quale leggere l’insieme delle questioni sociali. Sandro Mezzadra, già nel 2006, nel suo ormai storico Diritto di fuga (ombre corte) sosteneva il carattere di autonomia che caratterizza la migrazione contemporanea, e non nel senso che si debba ridimensionare il rilievo delle «cause», delle determinazioni strutturali delle migrazioni, ma piuttosto per evidenziare la crescente consapevolezza e ostinazione delle donne e degli uomini che ne sono protagonisti.

I movimenti dei migranti si pongono costitutivamente in eccesso rispetto ai regimi dell’asilo e alle fantasie governamentali di una migrazione «ordinata e gestita» sulla base di sempre più sofisticati parametri economici e demografici. Gennaro Avallone in Liberare le migrazioni ci ricorda che Abdelmalek Sayad ci ha insegnato a mettere in discussione il modello teorico su cui si è basata la separazione tra emigrazione e immigrazione, che altro non è che il modello Stato-etno-centrico, e a mettere in discussione le politiche di controllo, evidenziando l’incapacità della cittadinanza e della democrazia nazionale (e nazionalista, in quanto è strutturalmente e storicamente fondata sul pensiero di Stato) di essere dispositivi di inclusione sociale.

LE PROPOSTE DI NUSELOVICI ci offrono ulteriori contributi per superare questa incapacità. Docente nell’ateneo di Marsiglia, membro del gruppo «Transpositions», i suoi campi di ricerca sono legati ai translation studies e all’esperienza dell’esilio. I suoi saggi ci indicano un percorso di pensiero originale che dalle riflessioni sulle poesie dell’esule ed esiliato Paul Celan, Les lieux d’un déplacement, attraversano le politiche di esilio, identità, disidentità, ibridazione, come testimoniano Plaidoyer pour un monde métis; La condition de l’exilé; e Il pensiero meticcio (Elèuthera), scritto assieme a François Laplantine.

Gli aspetti più interessanti del saggio sono la creazione di collegamenti tra questi nodi concettuali, che decostruiscono i luoghi comuni: Nuselovici ci propone la critica e il superamento del diritto esistente e delle nostre sicurezze. Si tratta di mettere in discussione una certa concezione dell’universalismo, fatta di standardizzazione, livellamento e uniformità per affermare un pensiero in divenire che, attraverso il confronto e il dialogo, diventi il vettore cosciente di quei mutamenti incessanti che costituiscono l’uomo e il reale.