La Polonia fa un parziale dietrofront sulla controversa «legge shoah« entrata in vigore a marzo scorso: niente più carcere per chi utilizza espressioni come «campi di sterminio polacchi». Nella giornata di mercoledì il Sejm, la camera bassa del parlamento polacco, ha cancellato due degli articoli più contestati del discusso emendamento alla legge sull’Istituto Nazionale di Memoria (IPN).

UN PROVVEDIMENTO che aveva suscitato la condanna della comunità internazionale, Stati uniti e Israele in testa. Chiunque tenterà di attribuire alla nazione polacca «crimini contro l’umanità, contro la pace nonché altri crimini durante la guerra» non sarà più punibile con la reclusione fino a 3 anni. A partire da adesso le accuse di «antypolonizm» saranno giudicate dai tribunali civili.
Il partito della destra populista di Diritto e giustizia (PiS) ha fatto marcia indietro anche sulla possibilità di mettere sul banco degli imputati ogni cittadino polacco o straniero «indipendentemente dalle leggi del paese in cui ha luogo il reato».

A questo punto è difficile immaginare che Varsavia decida di portare avanti i fascicoli relativi ai 79 casi di «antipolonismo» segnalati in giro per il mondo ad una speciale commissione istituita per valutare i crimini contro la nazione polacca.

Ieri il Dipartimento di Stato americano ha commentato così la notizia: «Gli Stati uniti accolgono con favore la decisione del parlamento polacco di modificare la legge sull’Ipn».

«L’INIZIATIVA POLACCA sottolinea l’impegno del paese in materia di libertà di dibattito, parola e ricerca» si legge ancora nel comunicato. La «legge shoah» prevede che storici e artisti restino al riparo da ogni accusa di «antypolonizm».

Il dibattito storico rischia comunque di risentirne visto che non sono previste eccezioni per le iniziative di divulgazione storica dal parte dei media o di altri soggetti. E possibile che Varsavia abbia deciso di fare una concessione al proprio alleato di sempre per scongiurare l’eventuale disimpegno militare di Washington e della Nato sul vecchio continente anche alla luce del disgelo diplomatico in corso tra Trump e Putin.
Le modifiche alle legge, approvate dal Sejm senza alcun dibattito parlamentare, sono state firmate immediatamente dal presidente polacco Andrzej Duda in visita a Riga all’inizio di questa settimana.

L’impressione che il governo sia corso ai ripari per ricucire lo strappo con Washington e Tel Aviv è confermata dal fatto che il PiS ha scelto di non aspettare il parere, comunque non vincolante, del Tribunale costituzionale sulla legge. Duda aveva infatti rimandato il provvedimento da lui firmato ad un parere post factum da parte della corte costituzionale, organo di giustizia in cui ormai il PiS detiene la maggioranza. Si tratta dell’ennesimo colpo basso al potere giudiziario a Varsavia, e al di là di ogni querelle diplomatica con Bruxelles allo stato di diritto in Polonia.