L’accorrere francamente umiliante (per loro!) di solerti consulenti giuridici, di costituzionalisti immaginifici, di garantisti ad personam, mobilitati per escogitare inesistenti questioni di retroattività o inammissibili profili di incostituzionalità con l’unico scopo di dilazionare la decadenza di Berlusconi dal mandato parlamentare e la sua incandidabilità, è l’ultimo capitolo (il più imbarazzante) della ventennale offensiva scatenata contro la legalità e contro la giurisdizione repubblicana.

La mistificazione è clamorosa e tende a rappresentare Berlusconi come titolare di privilegi immunitari derivanti dal suo ruolo politico, ancorché condannato per accertate, gravissime responsabilità penali.

Con un impudente spiegamento di argomenti che non hanno nulla a che vedere con il diritto, con il processo, con la chiarezza del testo normativo (legge Severino e codice penale) in un clima di capovolgimento di ogni regola costituzionale si osa ancora far credere agli italiani (contro il resto del mondo che ostenta incomprensione) che occorre trovare una soluzione salvifica per Berlusconi in nome di una superiore ragione “politica”.

Mi è capitato di rileggere, a proposito di autentici abusi camuffati da giurisdizione, i documenti del processo celebrato negli anni trenta dal Tribunale Speciale istituito dal regime, a carico di Gramsci, Terracini e numerosi altri loro compagni imputati di essere comunisti e portatori di idee ostili al regime dittatoriale. La parte più interessante di quel processo è quella degli interrogatori degli imputati, delle questioni che ponevano in modo esemplare alcuni di loro che erano anche avvocati, per contestare la legittimità del giudizio che veniva spostato su pretesi delitti di opinione – costruiti da leggi speciali.

Allora non vi fu alcuna mobilitazione di consulenti, interpreti, “garantisti” accademici o meno. E si trattava di un tragico processo ingiusto. Quegli imputati scontarono anni e anni di reclusione in nome di una autentica persecuzione. Non avevano compiuto atti di violenza eversiva, non avevano frodato, non avevano corrotto. Avevano creduto, avevano dato testimonianza con l’azione parlamentare e politica della loro passione ideale e sociale. La storia di quel processo andrebbe ripubblicata in parallelo alla sequenza di trattamenti eccezionali e perdonistici che oggi si pretendono per un plurimputato, condannato per reati comuni.

Questo parallelo, forse, potrebbe dimostrare meglio di ogni disquisizione opportunistica, legata non a imperativi etici ma alla pretesa di stravolgere la Costituzione e leggi ordinarie della Repubblica, l’assurdità dell’attuale vaniloquio sul trattamento particolare da inventare per il condannato eccellente.

Nello specifico, ricordando gli approfondimenti che ho fatto compiere nella materia della garanzia dei parlamentari dalla Giunta delle autorizzazioni della Camera durante la mia presidenza di quell’organismo (2001-2006) voglio ribadire alcuni punti che non possono essere confusi.

E in particolare:
a)Nei casi in cui, in esecuzione di una sentenza definitiva, la Procura competente informa l’Assemblea parlamentare, non si può pretendere di instaurare una procedura di natura giurisdizionale diretta a neutralizzare la normale ’presa d’atto’ di una decisione che appartiene alla esclusiva competenza dell’Autorità giudiziaria;

b)Valutazioni o dubbi di natura costituzionale su una norma di legge approvata dal Parlamento non possono fare sollevare nella Giunta incidenti di costituzionalità: non essendovi un collegio giudicante è inammissibile ogni procedura del genere di quelle quotidianamente propinate sui media;

c)Il decreto legislativo che va sotto il nome di legge Severino non presenta violazioni del principio della irretroattività della legge penale. Non risulta dedotta questa questione né in Cassazione né in sede di esecuzione della condanna. Peraltro proprio la norma della “Severino” che prevede l’immediatezza della comunicazione, da parte del Procuratore competente, della definitività della sentenza di condanna alla camera di appartenenza del condannato contempla il caso di decadenza e, quindi, incandidabilità durante il mandato parlamentare.

E’ il caso di cui tanto si parla. Soltanto il 1° agosto, con la sentenza definitiva, è sopravvenuta la decadenza, che non ha dunque alcun carattere di retroattività perché non riguarda l’epoca della contestazione del reato ma il giudicato pieno e irrevocabile sulla responsabilità del condannato per i reati medesimi.