Sulla legge elettorale tedesca si fa enorme confusione. Non solo sui giornali italiani, che formulano fuorvianti paragoni con il cosiddetto Mattarellum, ma anche qua in Germania. Una confusione che talvolta è creata ad arte, talaltra è frutto di una mancata conoscenza delle novità degli ultimi anni. Proviamo a mettere ordine in una materia effettivamente complessa.
Il parlamento tedesco è bicamerale, ma viene votato direttamente solo il Bundestag, da cui dipende l’investitura del cancelliere e la fiducia al governo. Il sistema per eleggere i deputati è misto: ogni cittadino ha una scheda (Erststimme) con la quale vota un candidato nel collegio uninominale e un’altra (Zweitstimme) con la quale mette la croce sulla lista del partito della circoscrizione regionale. All’apparenza, sembra molto simile a come votavamo noi in Italia prima dell’attuale Porcellum. E invece no.
La ripartizione dei seggi del Bundestag, infatti, avviene esclusivamente sulla base del voto proporzionale, quello espresso con la seconda scheda, riservata alle liste dei partiti. Un risultato calcolato su base nazionale. Tutte le forze che superano lo sbarramento del 5% sono rappresentate sulla base del loro reale peso: com’era da noi nella Prima Repubblica, quando il sistema elettorale vigente era quello voluto dai costituenti.
I collegi uninominali maggioritari sono solo 299 su un totale (variabile) di 598 seggi parlamentari e servono, di fatto, solo come metodo alternativo di selezione delle persone da inviare in Parlamento. I partiti maggiori, gli unici che (salvo eccezioni) vincono le gare nei collegi, mandano al Bundestag soprattutto deputati eletti in quel modo, mentre le forze minori attingono dalle liste delle circoscrizioni regionali.
A questo punto ci si chiederà: e se un partito vince in un numero di collegi maggioritari superiore alla quota di seggi che gli spettano sulla base della ripartizione proporzionale? Se la Cdu, ad esempio, con il 38% conquista tutti i collegi uninominali (299 su 598 seggi totali), non si trova con un numero di parlamentari corrispondente a ben più della sua percentuale? Effettivamente sì. Ma in quel caso, la legge elettorale prevede che aumenti il numero totale di deputati in Parlamento, in modo da compensare le altre forze e ristabilire i rapporti di forza che corrispondono al voto proporzionale. Il numero dei parlamentari, cioè, non è fisso come in Italia.
Perché allora, se le cose stanno così, i liberali della Fdp propongono ai democristiani: «Noi vi votiamo nei collegi uninominali con la Erststimme, voi votate le nostre liste con la Zweitstimme»? Se i rapporti di forza dipendono solo ed esclusivamente dal secondo voto, si capisce subito che è una fregatura. Come, in effetti, è. Il fatto è che le cose stanno in questi termini solo dal luglio dell’anno scorso, cioè da quando la Corte costituzionale ha imposto la riforma in senso pienamente proporzionale del sistema elettorale.
Prima di quell’intervento dei giudici non c’era alcuna possibilità di riequilibrare l’eventuale sovra-rappresentanza di un partito che si fosse trovato a vincere in un numero di collegi «troppo alto» in relazione al suo effettivo consenso proporzionale. Di fatto, quindi, gli effetti della quota maggioritaria erano a volte simili a quelli di una specie di premio di maggioranza. Fino alle scorse elezioni, dunque, poteva avere un senso votare il partito grande nell’uninominale e la forza minore con la Zweitstimme: si faceva un favore ad entrambi. Ora, questa possibilità non c’è più: i liberali lo sanno, ma fanno finta di niente.