Il via libera alla nuova legge elettorale prima del referendum del 20 settembre appare sempre più una mission impossibile per il Pd. Luigi Di Maio, pur di avere il sostegno degli alleati sul referendum, si sbraccia a dire «siamo pronti a votare una nuova legge elettorale già domani» e che il M5S «rispetta sempre i patti». Ma a ben vedere quel «domani» appare molto lontano. Oggi alle 14 l’ufficio di presidenza della commissione Affari costituzionali della Camera si riunisce per decidere quando votare come testo base la proposta di riforma in senso proporzionale del presidente Giuseppe Brescia (M5S).

Tutto fa pensare che si voterà tra domani e giovedì. Perché quel testo passi saranno indispensabili le astensioni dei tre deputati di Italia Viva e di Federico Fornaro di Leu: tutti e 4 fanno parte della maggioranza giallorossa, ma hanno dubbi e critiche sulla proposta di Brescia (soprattutto i renziani). Anche con queste astensioni benevole, se le destre voteranno compattamente contro sarà decisivo il voto della deputata della Svp Renate Gebhart.

UNA VOLTA PASSATO il testo, verrà fissato alla settimana prossima il limite per presentare gli gli emendamenti, per poi votarli. E qui si apriranno le danze, anche dentro la maggioranza, visto che Renzi anche ieri ha ribadito che lui non vuole il proporzionale, ma l’elezione diretta del premier, con tanto di ballottaggio tra i primi due arrivati come per i sindaci. Oppure un sistema tedesco con sfiducia costruttiva e una sola camera elettiva. Riforme che impiegherebbero anni per essere approvate. Un modo per dire che lui non darà una mano. Anzi, ieri ha ribadito che «la differenza tra noi e il Pd è che loro vogliono l’alleanza col M5S».

IL VOTO DELLA COMMISSIONE appare quindi come un artificio escogitato da Pd e M5S per poter consentire a Nicola Zingaretti di dire -alla direzione dem convocata per il 7 settembre per decidere sul referendum- che un passo è stato fatto in direzione di una nuova legge elettorale che mitighi gli effetti del taglio dei parlamentari. «Il timing dei lavori della commissione sembra fatto apposta. Ma è solo un escamotage», attacca Riccardo Magi di +Europa. Che annuncia: «Chiederò che si voti in commissione anche sugli emendamenti prima del 7. Così si capirà che sulla legge Brescia non c’è nessuna maggioranza». Il percorso della legge elettorale appare accidentato. Il centrodestra va all’attacco con Matteo Salvini e Renato Brunetta accusando la maggioranza di perdere tempo con un argomento non prioritario «trascurando le vere emergenze».

DENTRO LA LEGA il proporzionale trova barricate. «Il referendum è connesso evidentemente alla legge elettorale, che è la cosa più pericolosa: il proporzionale puro per un paese che ha bisogno di governabilità come l’Italia sarebbe un disastro», accusa Giancarlo Giorgetti, che si mostra sensibile alle ragioni del No. Dopo Berlusconi- che si è schierato bollando il taglio degli eletti come «un atto di demagogia che riduce la democrazia»- ieri anche Renzi è passato dalla libertà di coscienza a una scelta di campo più chiara, più o meno con lo stesso argomento del leader di Fi: «Quattro anni fa abbiamo fatto una riforma della Costituzione, questo invece è uno spot, si tratta di una proposta demagogica».

Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Federico d’Incà (M5S) prova a dare una mano a Di Maio rassicurando i dem: «Non escludo altre riforme costituzionali in questa legislatura». E cita la modifica dell’elezione del Senato su base regionale (la proposta Fornaro che potrebbe essere esaminata in commissione alla Camera parallelamente alla legge elettorale), l’età per votare al Senato e la riduzione dei delegati regionali per eleggere il capo dello Stato. Proprio quei «correttivi» chiesti a gran voce dal Pd.

DALLA CEI arriva un invito alla prudenza. Interpellato sul referendum, il vicepresidente Antonino Raspanti spiega: «Cambiamenti vanno fatti, cercando però di mantenere equilibrati i bilanciamenti dello Stato e la tutela delle minoranze. La cosa che deve preoccupare è che non siano fatti singoli aggiustamenti sull’onda emotiva dell’anti-politica».