Il sipario sta per calare sul caso Siri. Stamattina alle 9.30 il cdm accoglierà la proposta del premier di dimettere d’autorità il sottosegretario leghista. Lo farà a maggioranza, con il dissenso della Lega. Ma se l’esito della vicenda era già chiaro da giorni, almeno da quando Salvini aveva fatto filtrare l’intenzione di non spingere Siri alle dimissioni «spontanee», le modalità con cui entrambi i partiti hanno scelto di presentare la vicenda rivelano aspetti sorprendenti.

LUNEDÌ TUTTI SEMBRAVANO intenzionati a mascherare la spaccatura, in realtà profonda, camuffandola da incidente serio ma circoscritto e superabile. Ieri il quadro si è ribaltato. I due vicepremier si sono al contrario impegnati per esaltare quanto più possibile la lacerazione, al punto che non è nemmeno più rilevante vedere se si arriverà a un voto formale, come non capita quasi mai in sede di cdm – eventualità quasi esclusa – o ci si limiterà a una registrazione del dissenso. Entrambi i contendenti usano infatti già la parola sino al giorno prima impronunciabile: «Conta».

SALVINI APRE IL FUOCO per primo: «Se si arriva alla conta voteremo contro la proposta di Conte». In serata rincara: «Se i ministri dell’M5S votano per le dimissioni se ne prenderanno la responsabilità, ma andiamo avanti. Noi su autonomie e Flat Tax andremo fino in fondo». Passaggio che fa il paio con quanto il vicepremier leghista aveva dichiarato poco prima: «E’ evidente che la spaccatura con M5S non è solo su Siri ma anche su Tav e autonomie». Come dire che la Lega è pronta a fingere che il caso Siri sia finito, ma solo per andare poi all’offensiva su tutti gli altri fronti, a partire proprio dalle autonomie. E ancora prima, già oggi, il capo leghista vuole portare a scadenza l’ipoteca Flat Tax mettendola al centro del dibattito del governo dopo il caso Siri. Una dichiarazione di guerra, se si pensa alla prudenza con la quale Conte ha sin qui considerato l’ipotesi di riforma fiscale.

Di Maio è altrettanto solerte nell’alzare i toni. «Siamo pronti ma faccio un ultimo appello alla Lega: faccia dimettere Siri. Eviti la conta». Il leader dei 5S convoca con il ministro della Giustizia Bonafede una conferenza stampa sugli arresti di Milano, anche se in realtà la vicenda non dovrebbe riguardare il governo centrale. Infatti anche in questo caso l’obiettivo, pur se tra le righe, è la Lega. «Tangentopoli non è mai finita. La corruzione è la prima emergenza nazionale. Per combatterla non servono solo le leggi. Serve la politica», affonda Di Maio. Le leggi che indica sono quattro: conflitto di interessi, misure anti lobbies, pene severe per i grandi evasori, anche perché recuperando quell’evasione si eviterebbe l’aumento dell’Iva, riforma della giustizia per accelerarne i tempi.

MA QUESTE SONO APPUNTO «le leggi». Quando dice che «serve la politica» Di Maio allude chiaramente all’insufficiente impegno della Lega su quel fronte. Martella Siri, allargando il campo dall’emendamento galeotto a favore di Arata, ascoltato ieri per tre ore dai magistrati, al mutuo per l’acquisto di una palazzina a Milano: «Deve spiegare come sia possibile ottenere un mutuo di 500mila euro senza fornire alcuna garanzia». Quindi incalza il Carroccio: «Spaccarsi sulla corruzione è un’assurdità». Poi però anche lui, come già Salvini, garantisce che il governo andrà avanti. Come se nulla fosse.

OGGI DUNQUE, SALVO SEMPRE possibili sorprese, si consumerà tra i soci della maggioranza una rottura insanabile. Fingeranno che sia possibile procedere lo stesso. Forse ci proveranno davvero nei prossimi mesi, puntando su un bizzarro equilibrio basato sullo scontro permanente e a tutto campo. Il prezzo, in questo caso, sarebbe però una paralisi completa dell’azione di governo. Non più mascherata come di fatto già è sin da gennaio ma conclamata e sempre più vistosa via via che si avvicinerà l’appuntamento cruciale con la legge di bilancio. Ma è anche possibile, e forse è anzi probabile, che sia già partito il più eterno tra i giochi della politica italiana: quello del cerino.

«CI SARÀ LA CRISI? Chiedete alla Lega», dice secco Di Maio. «Nessuna crisi ma M5S si dovrà assumere le responsabilità del voto su Siri», replica altrettanto gelido il leader leghista. Se la maggioranza è morta, nessuno dei due soci contraenti ha intenzione di dirlo per primo, nessuno vuole passare per responsabile del fallimento dell’esperienza gialloverde. Ma la tattica delle reciproche provocazione, studiate per costringere l’altro a far saltare il banco, può durare per un tempo limitato.