Undici mesi di sospensione con detrazione di anzianità e stipendio dimezzato. Sul generale Vannacci precipita una nuova tegola. Stavolta a colpire è il ministero della Difesa. Ha comminato la pesante misura perché Vannacci, con la pubblicazione di Il mondo al contrario, avrebbe «compromesso il prestigio e la reputazione dell’amministrazione», ingenerato «possibili effetti emulativi dirompenti», leso «il principio di neutralità/terzietà delle Forze armate», dimostrato «carenza del senso di responsabilità». La procura di Roma ha poi acquisito il provvedimento nel quadro dell’inchiesta per incitamento all’odio razziale seguita alla denuncia di alcune associazioni.

L’avvocato di Vannacci ha subito annunciato il ricorso al Tar. Il diretto interessato ha fatto sapere che lui comunque «va avanti più forte di prima», aggiungendo di non aver ancora deciso sulla candidatura propostagli dalla Lega. Prima di lui, però, si era fatto sentire Salvini con una difesa a spada tratta: «Un’inchiesta al giorno. Siamo al ridicolo. Ma quanta paura fa il generale?». A stretto giro alcuni esponenti della sinistra segnalano l’opportunità di rivolgere la domanda al ministro della Difesa e fratellone d’Italia Guido Crosetto. Il quale peraltro mette le mani avanti in anticipo: «Parliamo di procedimenti che avvengono in automatico, totalmente estranei all’input dell’autorità politica perché partono da un’autorità tecnica». Conclude con tono esasperato: «Per quanto mi riguarda tra un po’ esaurirò le guance da porgere».
Però prendere le parole del ministro per oro colato, con tutta la buona volontà non è facile. Comunque si può star certi che non le prendono come tali i leghisti: anche prima della sospensione vedevano le precedenti inchieste a carico di Vannacci come parte di un complotto contro di loro. In effetti un ministro che, dopo aver definito i contenuti del libello razzista «farneticazioni», assicura di non avere niente a che fare con le sanzioni su dette farneticazioni tanto credibile non appare. In ogni caso, se Vannacci sarà in lista, inevitabilmente la sua candidatura diventerà uno dei fronti più caldi del conflitto sotterraneo tra FdI e Carroccio.

La premier non ha ancora deciso se candidarsi. Senza di lei il partito rischia di veleggiare intorno allo stesso risultato delle elezioni 2022: politicamente si tratterebbe di una sconfitta secca. Con lei in campo quel rischio sarebbe probabilmente scongiurato ma l’asticella salirebbe di molti livelli. Per incamerare una vittoria FdI dovrebbe superare non il 26 ma il 30%. Non facile comunque, molto più difficile se in campo ci fosse un candidato che pesca di frodo nel suo stesso bacino, molto popolare tra gli elettori di destra. Magari è davvero solo una coincidenza ma se qualcuno ha ragioni di temere il generalissimo trattasi proprio dei fratelli d’Italia e della sorella prima di tutti.

Per Salvini, minacciato di detronizzazione, messo sotto schiaffo dallo stesso Zaia con quel gelido «era meglio la Lega nord», un successo elettorale dovuto a Vannacci sarebbe un’àncora di salvezza nonostante i malumori di molti leghisti. Per ora il leader incassa l’appoggio del più papabile tra i possibili successori, il presidente del Friuli Fedriga: «Io resto a fare il governatore», assicura. Poi risponde a Zaia: «L’idea di autonomia è rimasta anche in questa Lega».

Ma se Salvini dovesse perdere il Veneto salvare la leadership diventerebbe impossibile. Il braccio di ferro sul terzo mandato per lui è questione di vita o di morte. Per ora la strada resta sbarrata. Se la Lega riproporrà in aula l’emendamento già affondato in commissione l’esito sarà lo stesso e probabilmente il governo eviterà la spaccatura col voto di fiducia. Ma la partita non finirà. Da palazzo Chigi, a mezza bocca, ammettono che dopo la batosta sarda potrebbe essere opportuno «ragionare sul terzo mandato». Lo stesso Ciriani insiste sull’inopportunità del decreto, senza chiudere del tutto le porte. Se ne riparlerà dopo le europee, il cui esito sarà decisivo, e, per quanto riguarda la Lega, dopo aver messo in cascina l’autonomia differenziata. Tra le proteste dell’opposizione, è stata calendarizzata alla Camera in aprile. Giusto in tempo per le elezioni europee.