Quando un paio di giorni fa Giancarlo Giorgetti assicurava che lui e Matteo Salvini vanno d’amore e d’accordo a chi ha la memoria lunga è tornata in mente l’infelice frase pronunciata da Armando Cossutta a proposito di Fausto Bertinotti, «Siamo la coppia più bella del mondo», poco prima di una lacerante scissione.

FORSE NELLA LEGA c’è «amore», perché il rapporto tra Salvini e Giorgetti è forte, ma di sicuro non c’è accordo. Ieri alla Camera, per il voto di fiducia sul secondo dl Green Pass, si sono presentati 80 deputati su 132.

Tenendo conto delle missioni le assenze ingiustificate sono state 41: un terzo del gruppo. Non è un dato troppo clamoroso: più o meno le stesse divisioni si erano registrate nel voto molto più sofferto sul precedente dl.

La divisione c’è, è nei fatti ed è profonda. Ma per parlare di scissione è presto e non è detto che ci si arrivi mai.

UN ADDIO IERI C’È STATO, quello della eurodeputata Francesca Donato, la seconda a lasciare il gruppo a Strasburgo: «Non potevo continuare a ignorare il malessere mio e di tante donne e uomini». Probabilmente passerà a FdI, come già il collega Sofo. Salvini non ne fa una malattia, anche se aveva provato inutilmente a convincerla a rinviare sino a dopo le amministrative: «Chi se ne va lo saluto, lo ringrazio e tanti auguri».

La specularità tra i tormenti del M5S prima dell’estate e quelli della Lega oggi è millimetrica, con Francesca Donato, pasdaran No Vax, nella parte che dall’altra parte della barricata spettava a Barbara Lezzi, probabilmente anzi con una presa sulla base decisamente minore a quella della pentastellata pugliese, comunque una ex ministra.

Fedriga, il presidente del Friuli tra i capofila dell’ala governista e nordica, infatti taglia cortissimo: «Nella Lega non c’è spazio per i No Vax».
In effetti, almeno per ora, i pezzi da novanta dell’ala «antigovernista» restano prudentissimi, Bagnai fa sapere che lui si occupa di problemi seri, di fisco, Borghi e Siri tacciono, la senatrice Roberta Ferrero considera «legittima» la scelta dell’eurodeputata, però, aggiunge, «Io ho sempre votato Lega».

LA STESSA BATTAGLIA referendaria contro il Green Pass non scalda gli animi: «I referendum si lanciano quando si è sicuri di vincerli», commentano anche molti di quelli che, fosse per loro, il certificato verde lo farebbero a coriandolini.

Ma la battaglia interna alla Lega è appena cominciata. Le tensioni potrebbero essere ben più alte quando in Parlamento ci sarà il terzo decreto, il più detestato di tutti, quello che estende l’obbligo di Green Pass a tutti i lavoratori. Soprattutto potrebbe moltiplicare e far impennare le tensioni l’esito delle prossime elezioni, che se i pronostici saranno rispettati registreranno un crollo dei consensi rispetto alle posizioni delle ultime europee, dove la Lega aveva superato il 34%.

Ma la disfida sul Green Pass e sulla campagna vaccinale, per quanto fragorosa, è solo la possibile scintilla. La santabarbara è altrove, è il fallimento della strategia di Salvini, quella che mirava a recidere le radici nordiche, a trasformare la Lega in partito nazionale capace di fare il pieno anche nel sud raccogliendo tutte le spinte antipolitiche, antieuropee e populiste che avevano già fatto la fortuna elettorale dei 5S.

QUEL PROGETTO, dopo il clamoroso trionfo iniziale, sembra oggi solo un ricordo ed è probabile che le prossime amministrative, pur essendo una prova solo parziale, suonino le campane a morto per quel miraggio.

Il partito del nord, che già mordeva il freno, vede la sua occasione per lanciare l’offensiva finale e riportare la Lega alla sua identità pragmatica e materiale, radicata nel nord, europeista e vincolata agli interessi della sua base elettorale, le aziende del nord.

Un partito, oggi, essenzialmente «draghiano». Dall’altra parte lo stesso fallimento verrà invece letto come prova provata dell’errore commesso spostandosi sul sostegno al governo. Nessuna delle due fazioni vuole liberarsi di Salvini, il frontman insostituibile. Entrambe vogliono trascinarlo dalla loro parte.
Non è detto però che il leader possa e voglia scegliere e in questo quadro ambiguo e confuso l’esplosione della Lega, e dell’intero centrodestra, diventa se non probabile certo possibile.