Chiamati alla sbarra dopo più di 40 anni. E prosciolti. Altro che cold case. Gli imputati Jimmy Page, 72 anni, e Robert Plant, 67, già anima dei leggendari Led Zeppelin sono stati assolti dall’accusa di aver plagiato una parte di uno sconosciuto brano strumentale della band psichedelica californiana Spirit intitolato Taurus datato 1968, e averlo trasformato nel capolavoro del rock Stairway to Heaven, inciso nel dicembre del 1970. L’anacronistico processo andato in scena al tribunale di Los Angeles, è nato da una causa intentata dagli eredi di Randy Craig Wolfe (noto come Randy California, un soprannome che ricevette da Jimi Hendrix) autore delle canzoni degli Spirit, scomparso da quasi vent’anni.
La somiglianza tra le due canzoni è una storia vecchia quasi come i due brani ma Page e Plant, quarantacinque anni dopo aver scritto e registrato il pezzo, hanno dovuto comunque indossare l’abito scuro e presentarsi davanti a giudice e giuria e subire il fuoco di fila di un avvocato dell’accusa che li ha messi sotto torchio con domande che hanno sfiorato il ridicolo.
«Lei è un turnista?», ha chiesto a Jimmy Page che ha risposto di essere musicista dall’età di 12 anni. «Suona bene la chitarra?», ha incalzato il legale. «Direi di sì…», ha risposto Page tra le risate del pubblico che affollava l’aula. Gran parte del processo flop è proprio frutto dell’avvocato della sedicente parte lesa. Si chiama Francis Malofiy e, come lo ha definito la stampa americana, è un legale «da rissa nei bar», un mastino delle cause pretestuose intentate per incassare risarcimenti milionari. Una sua recente denuncia intentata in un tribunale di Filadelfia contro il rapper Usher, sempre per presunto plagio, si era conclusa con una sanzione disciplinare nei suoi confronti.
IL POSTER
Le sue ingenue domande davanti alla corte di Los Angeles sono parte del suo show. Si dice che sia cresciuto con il poster dei Led Zeppelin in camera ma in una recente intervista ha definito il gruppo «la più grande cover band di tutti i tempi». Normalmente le cause di violazione di copyright negli Stati Uniti devono essere intentate nei tre anni dalla pubblicazione della composizione rea di plagio ma i termini possono essere estesi qualora il brano abbia ancora una circolazione sia nell’ambito delle esecuzioni dal vivo che nei media. Ovviamente Stairway to Heaven non ha mai cessato di essere suonata, prorogando indefinitivamente i termini di prescrizione. Jimmy Page ha detto alla giuria di aver ascoltato Taurus solo di recente. Gli Spirit, ha spiegato il chitarrista, erano un gruppo che conosceva superficialmente e di cui possiede alcuni dischi nella sua sterminata collezione di vinili. L’accusa ha sostenuto invece che gli Spirit e i Led Zeppelin avessero diviso il palco in diverse occasioni alla fine degli anni ’60 e che la canzone era ben nota al musicista inglese. Il plagio si riferirebbe non agli otto minuti della traccia, ma solo all’arpeggio iniziale dello storico brano dei Led Zeppelin, uno degli intro più amati del rock.
PUGNO DI NOTE
Tuttavia la paternità di quel pugno di note non appartiene agli Spirit. È stata infatti scoperta una partitura chiamata Sonata di chitarra e violino, con il suo basso continuo datata 1630 del liutista italiano Giovanni Battista Granata e che riporta lo stesso giro armonico. Questo ha reso ovviamente ogni pretesa di risarcimento da parte dell’accusa inconsistente. Page, peraltro, ha affermato davanti al giudice che quell’arpeggio gli aveva sempre ricordato Chim Chim Cher-ee la famosa canzone tratta dal film Mary Poppins e tradotta in italiano come Cam caminì spazzacamin.
Più che della paternità artistica qui però si stava parlando di soldi. Secondo alcuni analisti finanziari nei quarant’anni da quando è stata pubblicata, Stairway to Heaven ha generato ricavi, in vendite e diritti, per più di 500 milioni di dollari. Un perito di parte chiamato a testimoniare al processo di Los Angeles ha stimato i guadagni netti ottenuti da Page e Plant per quel singolo brano in 58,5 milioni di dollari. Gli eredi di Randy California tuttavia potevano rivalersi solo nei confronti dei diritti maturati nei tre anni antecedenti alla denuncia.
«Rispettiamo il valore della creazione artistica – ha detto Malofiy alla giuria nella sua arringa -. Ma creare non vuol dire copiare… Creare significa fare qualcosa di unico e memorabile». L’avvocato però è stato ostacolato nella sua causa da diversi vincoli procedurali. Nel corso del processo non ha potuto portare come prova a suo carico l’ascolto del brano degli Spirit, ma solo presentare la partitura che è, nella sostanza, la parte protetta dal copyright. Quindi i giurati non hanno potuto ascoltare in aula i brani, ma solo giudicare in base a valutazioni tecniche le somiglianze armoniche dei due spartiti e la familiarità delle due scale cromatiche discendenti. L’avvocato della difesa, Peter Anderson, ha così potuto smontare gran parte dell’impianto accusatorio.
Non esistono prove che Page abbia mai sentito Taurus durante uno dei concerti degli Spirit, né che la band Usa abbia mai suonato il pezzo nei festival in cui entrambi i gruppi erano in scaletta. Ad esempio nel primo show del primo tour statunitense dei Led Zeppelin a Denver il 26 dicembre 1968 in cui Page e band salirono sul palco prima di Spirit e Vanilla Fudge. Sulla scorta della testimonianza di un perito, il musicologo della New York University Lawrence Ferrara, la difesa ha inoltre avuto modo di attestare come le tre coppie di note su cui sostanzialmente si incentrava l’accusa di plagio siano inconsistenti nell’ambito della costruzione dell’architettura armonica del brano. Inoltre Anderson si è chiesto come mai né l’autore Randy “California” Wolfe, né la madre sua erede, ora entrambi deceduti, abbiano mai avuto l’intenzione di procedere legalmente. Perché solo ora a quasi mezzo secolo di distanza? Tutti dubbi che alla fine hanno spinto la giuria, selezionata epurando rigorosamente ogni possibile fan dei Led Zeppelin, ad assolvere Jimmy Page e Robert Plant.
Una argomentazione forte che Malofiy aveva a disposizione è stata anch’essa bloccata dal giudice. Si tratta dell’elenco di vecchi casi in cui i Led Zeppelin sono stati costretti a riconoscere i diritti su brani a cui si erano ispirati. La corte ha ritenuto che i precedenti non potessero essere chiamati in causa in quanto non pertinenti al caso in questione, ma nella sua denuncia l’accusa aveva elencato con precisione una serie di composizioni che i rocker britannici avevano preso in prestito e su cui si era giunti ad accordi per il riconoscimento dei diritti.
INCLINAZIONI
Page, Plant, Bonham e Jones avevano una certa inclinazione a lasciarsi ispirare da quello che ascoltavano. Tre tracce dal primo album dei Led Zeppelin sono state oggetto di accordi extragiudiziali. Dazed and Confued era un brano del musicista statuintense Jake Holmes che Page aveva iniziato a suonare con gli Yardbirds. L’autore rivendicò i suoi diritti solo nel 2010 ottenendo una compensazione. Babe I’m Gonna Leave You era stata scritta nel 1960 dalla folk singer Anne Brendon ed era stata poi ripresa da Joan Baez che l’aveva presentata come un brano della tradizione, gli Zeppelin se ne erano appropriati. La Brendon si fece però viva negli anni ’80 e ottenne anch’essa il dovuto. How Many More Times era ispirata apertamente a How many more Years di Howlin’ Wolf, furono gli eredi a chiedere (e ottenere) che il bluesman venisse riconosciuto tra gli autori. I Led Zeppelin hanno dovuto siglare accordi anche per tre brani del loro storico secondo album: Whole Lotta Love e Bring it on Home erano state riprese da classici di Willie Dixon e The Lemon Song ricalcava un giro di blues da Killing Floor sempre di Howlin’ Wolf. Anche Boogie with Stu, tratta dall’album Physical Graffiti era una cover non dichiarata di Ooh My Head del rocker Ritchie Valens, il giovane autore de La Bamba morto giovanissimo.
Fu la madre dello sfortunato cantante a far causa e il debito fu saldato. Questi sono tutti esempi che dimostrano come il quartetto inglese amava la musica e amava lasciarsi ispirare da quello che ascoltava. Ma se anche qualche furto c’è stato, i Led Zep saranno per sempre ricordati per il tanto che hanno lasciato e non per quel poco che hanno preso.