La vicenda di Edward Snowden evoca le disavventure del protagonista del film The Terminal di Steven Spielberg costretto a vivere nell’aeroporto di New York per evitare di essere espulso dagli Stati Uniti. Il film di Spielberg illuminava bene il clima claustrofobico degli Stati Uniti dopo l’11 Settembre, dove l’ostilità verso il migrante trovava, come sempre, nella burocrazia un solido architrave. Con l’ex-agente della Cia la realtà è tuttavia diversa. Snowden ha reso pubblico ciò che molti sospettavano, cioè che gli Usa hanno messo sotto controllo la Rete in nome della sicurezza nazionale. Lo fanno molti altri governi. Si potrebbe dire che è un segreto di pulcinella. Ma liquidare l’affaire Prism come manifestazione del già noto sarebbe un enorme errore concettuale.

Quello che emerge dalla rivelazioni di Snowden non è infatti una variazione nel già noto. Il coinvolgimento di Google, Facebook, YouTube nell’attività di «controllo» della rete attestano la commistione tra imprese high-tech e attività poliziesca e militare che ha nel complesso militare-industriale il suo antenato più noto.

Sia ben chiaro, anche qui emerge una differenza sostanziale. Negli anni Cinquanta del secolo scorso vedeva «soggetti» ben definiti. Da una parte il Pentagono – e si suoi omologhi europei – che stabiliva rapporti stretti con imprese che si specializzavano nella fornitura di «merci» belliche, condizionando anche le attività universitarie, attraverso il finanziamento di specifici progetti di ricerca. Era un groviglio di interessi pericoloso per la democrazia, come affermò a suo tempo il presidente Usa «Ike» Eisenhower, ma tuttavia circoscritto, con limiti definiti e certi. Per quanto riguarda l’attività di controllo della Rete abbiamo invece imprese che gestiscono la comunicazione e la formazione di social network dove le opinioni, i gusti, gli stili di vita costituiscono il loro core business. Il loro diretto coinvolgimento nelle attività di controllo da parte delle «agenzie della sicurezza» governative non è testimonianza di «patriottismo», bensì del fatto che l’attività di controllo della rete è parte integrante della loro attività produttiva. In altri termini, sono imprese che riducono la vita a «dati sensibili» da vendere o da usare come arma nel reprimere chi è sgradito all’ordine costituito.

La forza delle rivelazioni di Snowden sta dunque nel mettere in evidenza l’esistenza di questo complesso digitale-poliziesco, dove c’è compenetrazione tra economia e politica. In fondo, è questo l’arcano della forma stato nel neoliberismo: il venir meno della distinzione tra produzione e governo della popolazione è parte integrante nel processo di accumulazione capitalistica. D’altronde erano anni che filtravano informazioni sul coinvolgimento crescente della Silicon Valley nell’«economia della sicurezza». Con Prism siamo però a un inquietante salto di qualità: gran parte della cosiddetta «economia della conoscenza» diventa protagonista di un giro di vite della libertà di comunicare.