Efficaci lotte senz’armi hanno attraversato i millenni, componendo una storia che è al centro del libro Nonviolenza in azione (editrice Gaia). Ne è autore Michele Boato, egli stesso impegnato, da decenni, per la difesa dei beni comuni e l’obiezione di coscienza in senso lato. Popolano le fitte pagine oltre cento ritratti di movimenti e persone, capaci di coerenza, creatività e coraggio anche nelle situazioni più difficili. Risale al mondo egizio il primo sciopero, riportato nel Papiro giuridico di Torino. Nel 1150 a.C. a Tebe (Luxor) gli operai incrociano le braccia per vari giorni contro il ritardo della paga – in cibo – e l’assenza di unguenti per la protezione dal sole bruciante e dal clima secco. La protesta raggiunge lo scopo, sia pure limitato. I lavoratori ottengono anche la creazione di organi di controllo, in parte autogestiti, per il rispetto dei loro diritti minimi. A Roma, nel 495 e nel 449 a.C. gli ammutinamenti della plebe portano alla creazione dei Tribuni della plebe e alla scrittura delle Leggi. L’arma nonviolenta dello sciopero ricompare in forza agli inizi del 1800 e i minatori belgi e inglesi, per poi assumere sempre maggiore importanza.

La guerra, il conflitto più devastante dal punto di vista sociale, ambientale, economico. Come mai si dà poca importanza a chi disse no, anche 100 anni fa?

In Italia stiamo ancora aspettando la riabilitazione ufficiale delle centinaia di disertori fucilati nella prima guerra mondiale. Grandiosa e ignota, poi, la storia del 97° reggimento di fanteria austro-ungarico, composto da soldati giuliani e istriani, mandati a combattere dal 1914 al 1918 contro la Russia. Non capendo le ragioni di quella guerra, ed essendo in molti vicini al socialismo internazionalista, tentano di non uccidere e di non farsi uccidere. Ma certo, le guerre occorre prevenirle, ed ecco – fra le tante figure di donne del libro – Rosa Luxemburg, profondamente antimilitarista, che dà tutta se stessa per impedire la prima guerra mondiale. Un’altra figura che fece guerra alla guerra è Bertha von Sutter, la prima donna a ricevere il Nobel per la pace nel 1905.

Oltre a un enorme attivismo, scrisse uno dei libri più letti del 1800: Giù le armi!.Seconda guerra mondiale: alcuni popoli scelgono la lotta disarmata contro il nazismo.

Grazie ad Hannah Arendt e al suo libro La banalità del male è rimasta memoria della straordinaria lotta di massa nonviolenta del popolo danese, con in testa il re Cristiano X. Centinaia di sabotaggi nei cantieri navali, nelle ferrovie e nelle industrie aeronavali e d’armi (ma senza aggredire i soldati tedeschi), l’auto-affondamento di 29 navi per sottrarle ai tedeschi e alla fuga delle altre 13 nei porti della Svezia neutrale, il rifiuto in massa di iscriversi alle associazioni naziste, i cori tradizionali contro i concerti della banda militare tedesca. All’ordine di scrivere Jude sulle vetrine degli ebrei, anche gli altri negozianti lo scrivono sulle loro. Quando gli ebrei sono costretti a portare la stella gialla, tutta la popolazione, il re in testa, fa altrettanto. Nessun ebreo viene deportato in campi di concentramento. A un certo punto le stesse autorità tedesche in Danimarca ignorano gli ordini da Berlino. Una storia simile la vive il popolo norvegese. Venendo ai tempi attuali, ricordiamo il rifiuto dei lavoratori portuali di Genova e La Spezia di imbarcare armi destinate alla guerra in Yemen.

Asia: sono molto meno noti di Gandhi altri attivisti, come Krishnammal e Jagannathan, paladini dei braccianti; J. C. Kumarappa, che propose un’alleanza economica internazionale che emarginasse i paesi bellicosi; Badshah Khan, detto il Gandhi musulmano.

Nato 21 anni dopo Gandhi, ne segue le tracce e trova nel Corano l’ispirazione alla nonviolenza nella lotta contro il dominio inglese. Riesce a convertire una popolazione guerriera come i Pathan (o Pashtun) della frontiera tra Afghanistan e futuro Pakistan. Nel 1929 fonda il primo esercito nonviolento della storia che arriva a contare 80 mila pashtun, ormai convinti che la massima forma di onore e di coraggio sia affrontare un nemico per una giusta causa, senza indietreggiare e senza imitare, con le armi, la sua violenza. L’esercito apre scuole, sviluppa l’autogoverno della società, sostiene progetti di lavoro. La repressione inglese, particolarmente efferata nei confronti di questi resistenti, cerca con stragi incredibili di istigare risposte violente, ma senza successo. Badshah Khan muore nel 1988; ha trascorso in carcere un terzo della sua vita.

Africa: politici come Sankara, Lumumba, Mandela, possono essere l’esempio
universale di un cammino altro?

La propaganda coloniale del secondo dopoguerra raccontava di un Lumumba terrorista. Falso. Nel maggio 1960 egli vince le elezioni e proclama l’indipendenza del Congo. Immediata la reazione del Belgio e delle compagnie minerarie: secessione del Katanga, colpo di Stato, esecuzione del presidente. Thomas Sankara dal 1983 al 1987 governa l’Alto Volta, subito ribattezzato Burkina Faso (terra degli integri nelle due lingue locali). Nel poverissimo paese alle soglie del deserto mette in atto un modello esemplare di sviluppo autocentrato, egualitario, ecologista e solidale con il mondo. Toglie i privilegi, punta sui contadini e sulle donne, valorizza le buone tradizioni archiviando gli abusi. Si attira l’ostilità di varie potenze che ne ordinano di fatto l’assassinio.

Anche in America Latina, le lotte pacifiche di adesso hanno genitori e nonni.

Quasi incredibile, fra le altre storie, quella della boliviana Domitila Chungara, in miniera già a 10 anni. A 30 anni nel 1967, dopo un tremendo massacro di minatori, viene arrestata e torturata. Una volta liberata, nel 1978, con 4 compagne inizia uno sciopero della fame contro la dittatura. Aderiscono altre 1500 persone che, nel giro di pochi giorni, diventano molte di più, compresi sacerdoti e accademici. E cade, definitivamente, la dittatura.

Di quali sagge persone e sagge azioni contro il rischio nucleare si racconta nel libro?

Dal 16 al 28 ottobre 1962 il mondo sfiora l’autodistruzione nucleare per la possibile reazione statunitense all’installazione di missili sovietici a Cuba. Nel panico generale si fa largo l’ipotesi di un possibile arbitrato super partes. Si pensa a papa Giovanni XXIII. Intorno a lui si mette al lavoro una task force riservatissima. Tutto culmina nell’Appello per la pace, inoltrato ai presidenti Krusciov e Kennedy. La Pravda lo pubblica con la foto di Roncalli. L’iniziativa disinnesca la crisi, aprendo al ritiro dignitoso dei due contendenti, con garanzie reciproche.

E Stanislav Petrov?

Il 26 settembre 1983, questo tenente colonnello dell’esercito sovietico evitò una possibile guerra nucleare. Il sistema di prima allerta sembrava rilevare il lancio di missili balistici dagli Usa. Ma Petrov interpretò – correttamente, come fu poi accertato – il segnale come un errore del satellite e decise di non seguire il protocollo che prevedeva un contrattacco. Forse così salvò il mondo.