«Ho sempre vissuto divisa in due mondi e quando sono in uno penso all’altro»: una frase semplice, un messaggio evidente che ben rappresenta una raccolta di racconti come questa, di donne straniere in Italia. La prima spinta per leggere Lingua Madre Duemiladiciotto (a cura di Daniela Finocchi, edizioni Seb27, pp. 295, euro 15) è certamente di natura politica: deriva dalla volontà di dedicare attenzione a voci che sappiamo essere non solo ignorate, ma anche silenziate nel nostro paese. Istanza questa resa ancora più urgente dalla situazione attuale di barbarie che viene perpetrata nei confronti di coloro che cercano di approdare in Italia per restarci o solo attraversarla.
A causa di questo approccio politico al testo, che si connota anche come assolvimento di un senso del dovere, si prova dello stupore, si sorride fin dalle prime pagine provando piacere nella lettura, un piacere che supera, si lascia agilmente alle spalle la necessità – che pure era reale all’inizio – di leggere la raccolta perché è giusto farlo.
Già dalla prima sezione, infatti, Piccole autobiografie portatili, ci si imbatte in brevi racconti, a volte lunghi solo qualche periodo, che sono belli e basta, in cui è possibile riconoscersi o che hanno una cifra stilistica che dà gusto alla lettura: «le chiavi di casa mi danno accesso al mio spazio, me le sono guadagnate. Mi danno sollievo e soprattutto libertà, quella che solo le radici riescono a conferirmi. Perché Adamo ed Eva vengono raffigurati con l’ombelico? Essere madre ti fa essere una peggiore artista?».
In questo modo, da un testo che si potrebbe considerare, anche per via di un pregiudizio, una raccolta prima di tutto politica e solo in seconda battuta letteraria, sorgono quesiti fondamentali.
Quanto il sistema neo-liberale vigente è riuscito a omologare le esistenze di donne di nazionalità diverse, fino a rendere somiglianti le vite di persone che provengono da storie e culture tanto differenti? Oppure è l’umanità nelle sue connotazioni universali a rendere questi racconti così intellegibili per soggetti tanto disparati, come sono le lettrici e le autrici di questi brani?
Inutile attardarsi nella ricerca di risposte. Proseguendo si incontra invece l’estraneità della guerra, che intere generazioni italiane non hanno conosciuto, salvo poche eccezioni: in Ricordi rubati troviamo la tragedia dell’esproprio e della deportazione e in Scelte coraggiose cosa possa significare diventare proprietà di un uomo, perché così ha stabilito la legge del padre.
Succede allora che, messe da parte le questioni troppo grandi come le domande impossibili, si proceda racconto dopo racconto, per quell’unica ragione valida: vedere «l’altra», conoscere qualcosa di se stesse e del mondo attraverso la «sua» scrittura.