Per il ministro dell’Informazione di Singapore è importante che i cittadini leggano “cose corrette”. Nel fare il gesto delle virgolette sulla parola “corrette”, lo scorso giugno Yaacob Ibrahim spiegava in un’intervista alla Bbc il nuovo sistema di licenze per i siti di notizie annunciato all’inizio dell’estate dall’Autorità per lo sviluppo dei media e accolto con sospetto e proteste dal mondo dei blogger e dell’informazione online.

«Vogliamo tutelare gli interessi dei singaporeani comuni», ha esordito il ministro il cui obiettivo, assieme a quello dell’amministrazione, è che i fatti siano «riportati correttamente». Il sito Asia Sentinel ci ha scherzato sopra. A corredo del pezzo sulle nuove regole ha pubblicato una foto di Yaacob Ibrahim definito nella didascalia “la vostra guida amichevole”.

Culla del capitalismo autoritario, in cima agli indici per competitività quando si tratta di apertura alle leggi del mercato e nel campo degli affari, la città-Stato naviga nelle parti basse della classifica per quanto riguarda la libertà di stampa. È al 149esimo su 179 paesi secondo Reporters Sans Frontieres, in calo di 14 posizioni, subito dopo la Russia e subito prima dell’Iraq.

La situazione dell’informazione nella città del leone è però “interessante”, almeno secondo chi cerca altre strade rispetto a quelle dei grandi gruppi vicini al governo. Accanto alla percezione di un censura sempre più dura convivono numerosi esempi di stampa “alternativa”, spiegano dalla redazione di The Real Singapore, “la voce dei singaporiani comuni”, come recita la scritta sotto la testata. «La percezione comune era quella di un’informazione distorta. Si sentiva il bisogno di avere accesso a punti di vista alternativi. Noi siamo nati per dare una mano a raggiungere questo obiettivo».

The Real Singapore, si legge nel Chi siamo, «è una piattaforma e un sito di contenuti generati dagli utenti che dà ai singaporeani l’opportunità di esprimersi liberamente, senza censure”. La linea editoriale si fonda sulla “giustizia sociale, la democrazia, le libertà civili, il rispetto dei diritti umani, i principi di trasparenza e responsabilità».

Il sito, spiegano, non rientra nell’ambito delle leggi sull’informazione, che si applicano principalmente ai quotidiani né nel nuovo schema di licenze che si applica per il controllo dell’online. Quest’ultima è la controversa norma presentata lo scorso giugno che impone ai siti di news di avere un licenza nel caso abbiano pubblicato nell’arco temporale di due mesi almeno un articolo a settimana su Singapore o di attualità e abbiano avuto almeno 50mila utenti unici al mese dalla città-Stato.

Ancora a metà settembre erano dieci i siti identificati, tutti legati alla stampa mainstream eccetto uno, Yahoo!Singapore. Il regime di licenze non era stato usato per altri siti o blog, molti dei quali non potrebbero neanche permettersele. Il costo è di 50mila dollari singaporiani, pari a 28mila euro circa, più l’obbligo di rimuovere gli articoli contestati entro 24 ore.

Per il governo il sistema non sarà un ostacolo alla libertà d’informazione. Per i blogger che hanno lanciato il movimento #FreeMyInternet, con tanto di manifestazione in piazza, i rischi delle nuove regole stanno invece nella loro vaghezza, in particolare nella distinzione tra siti, blog, portali. Di ulteriore confusione dovuta a regole “ridondanti” -l’online ricade già in una legge del 2001- parlò già a giugno Alan Soon, manager di Yahoo! nel Paese.

Il consulente legale Alfred Dodwell ha spiegato al magazine Irrawaddy come pur indipendenti dai partiti politici, siti come The Online Citizen, meglio conosciuto come Toc, o Temasek Review Emeritus rappresentano una sorta di opposizione. Al contrario la stampa tradizionale è considerata portavoce del People’s Action Party, il Pap, partito-governo fin dal 1959 quando ancora Singapore era parte dell’impero britannico.

Lo sviluppo di piattaforme d’informazione online va inoltre di pari passo con il lento declino del Pap che pur mantenendo il suo ruolo di predominio, assiste alla crescita elettorale di altre forze politiche e nel 2011, con il 60 per cento dei consensi, ottenne uno dei peggiori risultati della propria storia.

«The Real Singapore e Toc sono simili nel provare a portare voci alternative. Tuttavia non lavoriamo assieme né collaboriamo e tendiamo a rivolgerci a un pubblico di lettori differente», sottolineano però i primi.

Toc è forse a oggi il più citato all’estero tra i siti alternativi o di giornalismo partecipativo di Singapore. Il suo caso ricorda come a volte si possa provare a mettere il bastone tra le ruote a questi progetti anche senza imporre licenze. Il sito è nato nel 2006. A dicembre, quattro anni dopo, quando mancavano pochi mesi alle elezioni politiche, organizzò un forum faccia a faccia tra i candidati di tutti i partiti. L’unico a non rispondere all’invito fu quello del Pap. L’iniziativa rappresentò tuttavia uno spartiacque per rompere l’egemonia della stampa tradizionale e non mancò di attirare l’attenzione su Toc, che nel 2011 fu costretto a registrarsi come un’associazione politica.

Sul piano dei contenuti questo non ha avuto un grosso effetto. Altrettanto non si può dire per i finanziamenti. Toc è tenuto a motivare tutte le entrate e non può accettare fondi stranieri né donazioni anonime superiori ai 5mila dollari di Singapore l’anno. Superata questa cifra tutto deve essere dichiarato.

I problemi che sorgono sono due, ha spiegato il redattore capo Terry Xu al magazine online The Diplomat. Il primo è la riluttanza a collaborare di studenti e accademici che hanno legami con il governo. La seconda è il non poter cercare il sostegno di fondazioni internazionali per trovare i soldi.

Che il lavoro di controinformazione stia iniziando a dare i propri frutti lo dimostra però la vicenda dei resoconti sulla vita dei senzatetto in una città conosciuta per il lusso e l’ordine imposto dall’alto, le cui storie furono raccontate da Toc e arrivarono prima sul al Jazeera e poi in Parlamento, sebbene criticate da esponenti del governo come il lavoro di siti irresponsabili che dicono falsità.