Le visioni di Tommy
Miti/Torna a Broadway l’opera rock degli Who da cui fu tratto l’omonimo film Scritto e ideato dal chitarrista Pete Townshend, l’album, pubblicato nel 1969, fu portato sul grande schermo da Ken Russell nel 1975
Miti/Torna a Broadway l’opera rock degli Who da cui fu tratto l’omonimo film Scritto e ideato dal chitarrista Pete Townshend, l’album, pubblicato nel 1969, fu portato sul grande schermo da Ken Russell nel 1975
Si riaprono le porte della percezione. Senza scomodare Aldous Huxley e i Doors, più semplicemente, locali, teatri, concerti, provano a rimettere la testa fuori dall’incubo appena vissuto (speriamo che la declinazione al passato sia permanente). Annunciata, tra le tante, la ripresa del musical, in scena a Broadway, di Tommy, tratto dall’opera degli Who, ormai declinata, tra musica, teatro, letteratura in ogni versione artistica possibile (manca ancora, a quanto ci risulta, la scultura). Diventata nel tempo un classico della cultura britannica ma non solo. Erano un po’ di anni che Pete Townshend ci provava. Dimostrando, nonostante la giovane età, una maturità artistica comune a pochi, con uno sguardo a 360 gradi, pensando alla composizione sonora come a un’opera completa, vicina al concetto di musical, di interazione tra musica, teatro, letteratura. L’«opera rock», poco dopo la metà degli anni Sessanta, era un’idea ancora insolita in ambito pop. I primi tentativi risalgono al secondo lp proprio degli Who, A Quick One, del 1966, con il brano omonimo in cui Townshend lega varie canzoni in una, raccontando, ironicamente e innocuamente, una storia di tradimento e perdono. Gli va male con Quads, idea solo abbozzata e mai conclusa, ci riprova nel 1967 in Sell Out con Rael. Originariamente concepita in ventidue movimenti poi tagliati e ridotti a poco più di 5 minuti di musica. Intanto l’idea prende piede intorno a lui.
Se già nel 1960 il jazzista Mose Allison (peraltro amatissimo da Townshend, gli Who ripresero la sua Young Man Blues trasformandola in un’aggressione sonora proto hard rock) aveva inciso una specie di concept strumentale con Transfiguration of Hiram Brown, nel 1967 i soliti Beatles avevano suggerito la via con Sgt. Pepper’s, da un’idea di McCartney di proporre la band come se fosse un altro gruppo, con tanto di costumi adeguati (vedi la copertina). Del concept rimase solo la ripresa del tema principale dell’album poco prima della chiusura con la solenne A Day in the Life. Arrivarono appena prima i Pretty Things con S.F. Sorrow nel dicembre del 1968. Ma l’idea di Tommy era già da tempo nella testa di Townshend e le registrazioni iniziarono ben prima dell’uscita dell’album dei colleghi inglesi.
LA CONSACRAZIONE
L’album fu la definitiva consacrazione per la band (grazie anche all’epica esibizione a Woodstock) che uscì dalla dimensione confusa e adolescenziale degli inizi e diventò un riferimento per il rock di tutto il mondo. Intriso di riferimenti musicali post psichedelici, che si spingevano fino alla musica classica (vedi l‘Ouverture dell’album), l’utilizzo di strumenti anomali per la band (fiati, archi, timpani, armonie vocali ricercate) e un mood semi acustico prevalente che strideva con l’abituale violenza sonora portata sul palco. La storia drammatica e complessa del protagonista, Tommy, muto, cieco, sordo, gli abusi sessuali espliciti e morali che subisce, la disabilità di cui approfittano madre e patrigno, nel momento in cui diventa campione di flipper, unica modalità sensitiva per «comunicare» con il mondo, ci trascinano in un climax morboso e inquietante. L’album ebbe successo critico e commerciale anche se non furono poche le voci di biasimo, sia sui contenuti lirici che musicali. Divenne in ogni caso un classico della musica rock. La potenzialità dell’opera, concepita in chiave artistica «totale», ebbe la sua sublimazione e un secondo successo nel 1975 quando il visionario ed estremo regista Ken Russell ne fece un film che esaltò ancora di più gli aspetti psichedelici, violenti e malsani. Un cast di primo livello con personaggi come Ann Margret, Oliver Reed, Jack Nicholson, Robert Powell e le apparizioni degli stessi Who, Elton John, Eric Clapton, Tina Turner. Il tutto in chiave musical, senza dialoghi ma solo cantato.
Risalta soprattutto il ruolo di Tommy, affidato al cantante della band, Roger Daltrey. «Ken Russel per me era un’icona, un eroe, un idolo, ero un suo grande fan. Quando mi chiese di interpretare Tommy, di cui era un immenso estimatore, non tanto della musica, odiava il rock, quanto del soggetto, risposi che potevo tranquillamente affrontare centinaia di migliaia di persone da un palco ma che non avevo alcuna esperienza da attore. Ma Ken rispose che io sarei stato Tommy. Punto».
CAMBIAMENTI
Townshend lavorò a lungo a una nuova colonna sonora che si adattasse ai cambiamenti decisi da Russell, rispetto alla versione discografica, per rendere il tutto meno nebuloso e più cinematografico. Dal canto suo Roger Daltrey ricorda nella sua autobiografia Thanks a Lot Mr. Kibblewhite una serie di gustosi, esilaranti e rocamboleschi aneddoti. Anche se ci tiene a sottolineare che l’esperienza è stata talmente anomala, coinvolgente e travolgente da essersi dimenticato buona parte di quanto accaduto. In particolare la scena in cui è coricato sotto le gambe della Acid Queen, Tina Turner, che aveva appena coinvolto il giovane Tommy in un viaggio con l’LSD. «Ero non solo con Tina Turner, per me un idolo assoluto, che ascoltavo religiosamente da anni ma ero anche sotto le sue gambe. Per girare quella scena ci vollero ore e io ero sotto le sue gambe e non ricordo nemmeno di che colore avesse le mutande o se le avesse. Non mi ricordo, ti rendi conto?». Andò peggio alla protagonista Ann Margret (che nel film, nonostante avesse solo tre anni in più di Daltrey impersonificava sua madre!). Nella scena in cui, ubriaca, lancia un bicchiere contro uno specchio della sua lussuosa, immacolata, bianchissima casa, facendone uscire una valanga di liquame e fagioli, si tagliò con un vetro e fu costretta a ben ventuno punti di sutura. Ma mentre il sangue schizzava ovunque, tra lo sconcerto e il terrore della crew, lei continuò a recitare fino a concludere la sua parte. Portata d’urgenza all’ospedale, il giorno dopo era di nuovo sul set.
A proposito di ubriachezza (reale e molesta). Anche Keith Moon, batterista degli Who, ebbe una piccola parte, interpretando il disgustoso Uncle Ernie che abusa del nipote Tommy. Fece subito amicizia con Oliver Reed, il patrigno del protagonista. A parte che mentre la troupe era alloggiata in un hotel di Portsmouth dove si girò la quasi totalità del film, entrambi scelsero il Grand Hotel del posto, il loro divertimento preferito era sfidarsi a gare su chi beveva di più. Una mattina Keith Moon stracciò Reed che dopo due bottiglie di brandy collassò sul tavolo. Keith, guardando Roger, non disse altro: «Non sei proprio un tipo divertente, Ollie». Il clima durante le riprese era esasperato dal perfezionismo quasi sadico di Ken Russell, le cui parole abituali erano: «Ottima scena, adesso ripetiamola un’altra volta!». L’esperienza più traumatica in cui fu coinvolto Daltrey fu quella in cui appare chiuso in un sarcofago circondato da serpenti. Russell lo tenne una giornata intera tra rettili, grosse farfalle, scarafaggi, prima di scegliere i serpenti. Che per difesa emettevano secrezioni maleodoranti di ogni tipo. «Mi ritrovai coperto da ogni schifo di merda di serpenti o insetto e per giorni fui costretto a sopportare un odore disgustoso che non se ne voleva andare».
La colonna sonora fu registrata totalmente di nuovo con il contributo di star come Eric Clapton, Elton John, Nicky Hopkins, Ron Wood e Kenney Jones (ex Faces e Small Faces che qualche anno dopo sostituirà il defunto Keith Moon proprio negli Who). Townshend aggiunse qualche nuovo brano mentre gli arrangiamenti sono caratterizzati dall’introduzione massiccia di parti di sintetizzatore. Il risultato è comunque eccellente, pur se colpevolmente spesso trascurato. Il film ricevette ampi consensi, sia a livello di critica che di successo commerciale, diventando un gioiello della filmografia rock. Ken Russell lo ha sempre definito come «il film più commerciale che abbia mai fatto». Ann Margret vinse un Golden Globe per sua splendida interpretazione, Pete Townshend fu candidato all’Oscar per la miglior colonna sonora, il film vinse il Rock Music Award nel 1975 e fu presentato al Festival di Cannes.
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