Debitamente oscurata, la Sala Squarzina del teatro Argentina è colma di ragazzini delle scuole medie, che attenti e silenziosi partecipano alla caduta di un muro, collocato, all’interno di un teatrino in miniatura, da Riccardo Caporossi, instancabile inventore scenico. E ne ha regalate di visionarie invenzioni, insieme a Claudio Remondi, in oltre quarant’anni di teatro, sempre attento a sollevare dubbi e a denunciare conflitti e contraddizioni dell’essere umano, con la poesia del gesto ed eloquenti strutture scenografiche.Qui, davanti a una scatola nera di due metri per due, con questo Mura, una produzione Teatro di Roma, attualissima metafora di separazioni mentali e fisiche, due mani – uniche parti del corpo visibili – rimuovono 50 mattoni, non prima però di aver giocato con essi nella costruzione millimetrica di archi, porte, finestre, torrette… da cui fuoriescono piccoli oggetti quotidiani: scalette, binocoli, ombrelli, secchi colmi d’acqua.  Si resta ammutoliti dallo stupore, per la grande maestria e la delicata esortazione alla conoscenza.