La discussione politica ed economica nazionale rispetto l’impianto del piano del governo Next Generation EU (Ngeu) manifesta un provincialismo ideologico che tradisce le vere intenzioni di chi vorrebbe mettere in croce l’attuale maggioranza. Il piano Ngeu ha dei limiti indiscutibili, ma sono limiti su cui si potrebbe lavorare, non tanto nella re-allocazione delle risorse postate per Missione, piuttosto all’interno di una analisi economica circa l’impatto delle stesse (misure) diversamente combinate. Tra le altre questioni è proprio ciò che la Commissione europea raccomanda.

La Commissione ricorda almeno due approcci:
1) gli Stati membri sono invitati a descrivere le sfide che stanno affrontando e il modo in cui il piano di Ripresa e Resilienza contribuirà nel rispetto della coesione economica e della transizione verde e digitale (baseline nazionale, investimenti, riforme, contributo previsto al raggiungimento degli obiettivi Ue).
2) Gli Stati membri sono invitati anche a fornire dati riguardanti l’impatto previsto del piano sulla stabilità macroeconomica, la produttività e gli squilibri macroeconomici nei casi pertinenti, il rafforzamento della resilienza sociale (…) dei gruppi più vulnerabili, i sistemi sanitari e di assistenza, la salvaguardia delle catene di valore chiave e delle infrastrutture critiche, la garanzia di accesso alle materie prime critiche, l’autonomia strategica, il miglioramento della connettività, la diversificazione e la resilienza dei loro ecosistemi economici chiave (…), e possono descrivere l’impatto del loro piano sulle finanze pubbliche e sulle riserve finanziarie del settore privato come indicatore di resilienza finanziaria.

L’Ue, quindi, raccomanda di coniugare l’allocazione delle risorse con un bilancio economico degli effetti circa i così detti settori strategici. Sul punto Ngeu nazionale è debole, ma nessun paese europeo ha predisposto qualcosa del genere. Per essere più onesti, la maggior parte dei Paesi non ha nemmeno un piano dettagliato quanto quello nazionale e, spesso, non considera tutte le risorse europee.

Il provincialismo politico nazionale discute del Mes e di altre diavolerie, ma una lettura attenta dei piani di Francia, Germania, Spagna (Alessandro Bonetti, Il Fatto Quotidiano), trasmette non solo cautela circa lo strumento Mes, nessun paese lo reclama, ma nemmeno i così detti prestiti europei, mentre alcuni paesi non hanno nemmeno menzionato Sure.

Il fatto che nessun paese reclami i prestiti europei e punti solo alle sovvenzioni è un fatto che solleva molte riflessioni: perché Spagna, Francia e Germania non hanno inserito nei loro piani i prestiti europei? Ovviamente ci sono delle ragioni politiche ed economiche, ma la principale è legata all’attuale livello dei tassi di interesse che un po’ tutti immaginano abbastanza duraturi. Sul punto si è anche aperta una riflessione nella Bce per predisporre una sorta di soffitto rispetto ai tassi di interesse sui titoli di Stato.

La lettura dei piani europei suggerisce anche delle politiche economiche che risentono del clima di incertezza interna, così come dell’ancora immatura percezione economica ed europea nel consesso internazionale. La Francia pensa in proprio cercando di richiamare sul territorio patrio, via sovvenzioni, le imprese che hanno delocalizzato; la Germania può solo riconvertire le centrali a carbone e puntare sulla digitalizzazione perché ha un vantaggio comparato (europeo) sul punto; la Spagna sembra più attenta alla transizione socioeconomico del Green Deal e della digitalizzazione.

In onestà, l’Italia sembra più misurata e contempla prestiti e sovvenzioni con un peso specifico per missione abbastanza coerente. Manca un bilancio economico come reclama l’Europa, ma nessun Paese ha fatto qualcosa del genere. Crediamo che gli economisti strutturalisti abbiano un gran bel lavoro da fare.

La politica è, invece, interessata da altre e non banali questioni. Se i piani europei sono impostati come appena ricordato, perché un pezzo della classe politica ha tanto disprezzo per il piano nazionale? La giustificazione della crisi è legata alla così detta cabina di regia.

Nessuno ha discusso del bilancio economico del piano ma, insistiamo, sulla cabina di regia. Una delle rivendicazioni “evocative” che hanno sollevato le ire di una parte della maggioranza è stata quella di inserire il ponte sullo stretto, unitamente al Mes.

Ovviamente nessuno aveva letto i piani europei. Il segnale politico, in realtà, è chiarissimo: non possiamo lasciare a questa maggioranza la gestione di 310 mld da spendere in 6 anni. Le imprese lo hanno detto chiaramente e hanno trovato un interlocutore molto sensibile.

Chi ha aperto la crisi sostiene il giusto quando afferma che non è interessato alle poltrone. In realtà il mandante è interessato alla gestione dei 310 mld di euro. Da questo punto di vista la crisi è più che motivata, cioè ritorna il conflitto tra classe dirigente preposta alla trasformazione del Paese e la classe che vede in Ngeu un bancomat inatteso da prendere nelle forme e nei modi già sperimentati negli anni passati.