Paul Virilio è stata una figura eccentrica nel panorama intellettuale francese. Urbanista, dromologo, sociologo non disdegnava la passione teorica per quei fenomeni di creazione che dal buon artigianato sfociavano nell’arte.
Talvolta, quando era in vita, è stato associato all’utopista inglese ottocentesco William Morris, anche se Virilio non ha mai voluto pervicacemente ammettere la possibilità di una mano umana che riuscisse a creare manufatti espressione di una immaginazione e di un possibile un mondo diverso da quello nel quale viveva. La scansione tra passato, presente e futuro era, per Virilio, stata infatti archiviata dal capitalismo, che aveva impresso un’accelerazione allo sviluppo storico, al punto tale che la distinzione tra passato e futuro era «riassunta» da un sempreverde presente.

NON C’È MAI STATA COERENZA in quel che Virilio scriveva e teorizzava e la sua vita. A testimonianza di ciò c’è il fatto che tra la sua morte e il suo annuncio sono passati otto giorni. L’eccentrico intellettuale è morto il 10 settembre, ma la sua scomparsa è stata resa pubblica dopo il funerale. Ma questa è solo una delle sfasature della sua esistenza.
Pochi forse ricordano che Paul Virilio, prima di diventare, nel 1989, docente al Collège International de Philosophie, è stato un funzionario statale di alto livello. Si è occupato anche di logistica militare, studiando i modi e le soluzioni ottimali per il trasporto e il rifornimento delle truppe. Esperienze di lavoro che ha riversato nei suoi scritti, quando ha cominciato a tematizzare il ruolo della velocità nello stare umano in società; oppure quando ha indagato il ruolo dell’informazione nelle relazioni sociali; oppure, quando ha cominciato ad affrontare le conseguenze della «società del rischio» nei comportamenti umani.

È proprio negli anni Novanta del Novecento che il nome di Paul Virilio comincia a essere associato a quella nascente network culture che indicava nel World wide web lo spazio paradigmatico della grande trasformazione del capitalismo accelerata proprio dalla macchina informatica. Per Virilio, tuttavia, Internet esemplificava sì la grande trasformazione, ma il paradigma dal quale partiva era proprio la velocità, meglio i cambiamenti della concezione della velocità e degli strumenti (le tecnologie) che consentono una inedita e inarrestabile accelerazione dello sviluppo sociale e economico.
Per questo, ha cominciato a studiare il ruolo delle tecnologie dedicato alla ripresa del movimento. La cinepresa, per Virilio, era la tecnologia principe della modernità. Una tesi, sviluppata negli anni Ottanta, che ha messo a fuoco la centralità delle immagini nella formazione dell’opinione pubblica. Significativo è il volume La machine de vision, all’interno del quale Virilio fa i conti certo con il potere sociale – e politico – delle immagini, ma anche con quell’Estetica della sparizione (Liguori edizioni) che non è considerata come una forma di resistenza e di sottrazione del singolo, ma come una pratica di conferma e di valorizzazione del flusso delle immagini.

I FENOMENI studiati da Virilio sono sempre marchiati da una irriducibile ambivalenza. Se l’immagine svela il lato in ombra della realtà, la macchina informatica è sia strumento di liberazione che un’arma temibile al pari della bomba atomica, perché può desertificare il senso del reale. Temi fin troppo presenti nel libro La Bomba informatica (Raffaello Cortina).
La tecnologia digitale è dunque un’arma di distruzione di massa in una società ossessionata dal controllo dei comportamenti collettivi impazziti per l’accelerazione dello sviluppo storico così come impazzisce la maionese quando sono variati le proporzioni dei suoi componenti. Argomenti che Virilio riprenderà quando una tecnologia del movimento viene usata per colpire al cuore gli Stati Uniti.

ALL’ATTACCO DELLE TORRI Gemelle Virilio ha dedicato pagine su pagine dei suoi libri, in particolare in Ground zero, che può essere considerato una summa della sua amara riflessione sulla modernità. Da allora i suoi scritti sono diventati sempre più cupi. L’assenza del futuro non è più compensata da un presente che lo racchiude, ma è negata da una desertificazione della società capitalistica, anche se appare sfavillante e patinata come una città statunitense quando si accendono le luci che annunciano la notte della ragione.