Nell’attuale e confusa situazione politica è emerso un segnale di novità e di discontinuità che non è stato preso nella giusta considerazione. Sto parlando del mutato atteggiamento del Governo nei confronti delle parti sociali. Fino a poco tempo fa il Premier Renzi si faceva vanto di non partecipare alle assemblee di Confindustria, preferendo ad esse il contatto diretto con gli imprenditori, o di affermare che per i lavoratori aveva fatto più cose Marchionne dei sindacati.

Nella narrazione renziana tutto questo rientrava nella logica della rottamazione, prima della vecchia classe politica e poi delle rappresentanze dei corpi intermedi, ritenute non più adeguate ai tempi. Faceva parte di questa scelta culturale l’esplicito disprezzo verso la passata concertazione, messa in soffitta brutalmente e sostituita non dall’europeo “dialogo sociale”, ma dalla pratica delle decisioni unilaterali del Governo. Poi qualcosa è cambiato. L’esito delle elezioni amministrative, che Renzi ha cercato inutilmente di esorcizzare ignorandone persino la scadenza e puntando le carte sulla “madre di tutte le battaglie” del Referendum costituzionale, dimostra che è stato un errore ridurre il voto nelle principali città italiane a fatto localistico e che lo stesso risultato è stato negativamente influenzato dal giudizio degli elettori nei confronti della politica del Governo. In buona sostanza, l’idea secondo cui portare una forte innovazione nella politica debba corrispondere allo slogan “molti nemici, molto onore”, si è rivelata fasulla. Possiamo citare la famosa scena del film di Monicelli “Amici miei”, quella degli schiaffi agli ignari passeggeri del treno in partenza. Forse, in questo caso Renzi si è confuso: c’è un’ottima parodia di Villaggio che prende sempre a schiaffi i passeggeri, ma di un treno in arrivo, e sappiamo come è andata a finire. Adesso abbiamo voltato pagina. Non solo si è aperto un tavolo di confronto su questioni come il lavoro e la previdenza, ma il Governo ha anche annunciato la volontà di rinnovare i contratti del pubblico impiego. Inoltre, il nuovo protagonismo delle parti sociali si evidenzia con la ritrovata unità sui temi sociali e con la riapertura del confronto anche con Confindustria.

Non era scontato il fatto che Cgil, Cisl e Uil e l’Associazione di Viale dell’Astronomia trovassero una convergenza sul tema degli ammortizzatori sociali, al fine di chiedere al Governo un miglioramento della normativa, e che riaprissero il dialogo non solo sulla rappresentanza e rappresentatività (temi sui quali è già stato raggiunto un accordo), ma anche su quello del modello contrattuale. Se anche su quest’ultimo argomento si arriverà ad una conclusione condivisa, si saranno definitivamente tolti gli alibi al Governo per un intervento su temi che hanno a che vedere con l’esclusiva sfera dell’autonomia delle parti sociali. Va anche ricordato che, poco tempo fa, lo stesso Renzi aveva affermato che se sindacati e imprese non avessero trovato un accordo sarebbe intervenuto il Governo anche per disciplinare il modello contrattuale. Una scelta a dir poco discutibile che a questo punto va archiviata. Adesso si tratta di valorizzare il tavolo di confronto e di perseguire l’obiettivo di un accordo. Sulla parola da usare non ci formalizziamo: quello che è importante è che si realizzi una convergenza sui contenuti di un’«Agenda sociale» capace di dare un segnale di svolta sul tema della disuguaglianza. Sul primo capitolo, quello dedicato al Lavoro, sarebbe importante risolvere alcune contraddizioni che impediscono al Jobs Act di decollare. La prima riguarda la necessità di rendere strutturali gli incentivi per le assunzioni con il contratto a tutele crescenti, se non vogliamo che il miglioramento della qualità dell’occupazione che si sta registrando con la crescita percentuale del lavoro a tempo indeterminato, si riveli una fiammata effimera. Il secondo punto riguarda l’ormai popolare tema dei voucher: il loro uso va seriamente limitato e non è sufficiente la tracciabilità decisa dal Governo.

L’ottimo sarebbe riportare questo strumento alla occasionalità prevista in origine da Marco Biagi. Infine, per quanto riguarda gli ammortizzatori sociali, si rende opportuno un intervento che prolunghi anche temporaneamente la loro durata, considerato che la crescita non riesce a sfondare stabilmente neanche il muro dell’1% e permangono numerose situazioni di crisi che possono creare nuova disoccupazione. Sul versante della previdenza gli interventi dovranno privilegiare le situazioni di maggiore disagio sociale. La flessibilità delle pensioni, fino a quattro anni prima rispetto all’attuale livello di 66 anni e 7 mesi, andrà garantita a costo zero ai disoccupati di lungo periodo, agli addetti ai lavori usuranti, ai precoci e agli invalidi. Andranno risolte le problematiche legate al cumulo dei contributi, che dovrà diventare gratuito e agli esodati che dovranno veder concluso il loro problema attraverso l’ottava salvaguardia. Infine, andrà migliorata la quattordicesima mensilità dei pensionati più poveri (quelli che hanno un reddito fino a 10mila euro lordi all’anno) e previsto un intervento a favore dei giovani che andranno in pensione con il sistema totalmente contributivo: ad esempio con una sorta di integrazione al minimo. Non è secondario il tempo della conclusione del confronto su questi temi.

Noi abbiamo insistito sul fatto che essa avvenga entro la metà del mese di settembre e in questa direzione si è per fortuna andati. L’incontro politico conclusivo con i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil è previsto per il 12 settembre prossimo. Si tratta del tempo giusto per consentire l’inserimento dei contenuti di un eventuale accordo all’interno della legge di Bilancio. Per l’intervento sulla previdenza la stima che noi facciamo si aggira intorno a circa 2 miliardi di euro. Se il Governo farà la scelta di un’azione a favore delle fasce sociali più deboli darà una risposta alla domanda sempre più insistente di giustizia sociale, argomento che è stato la causa maggiore dell’accresciuta distanza tra la politica e i cittadini. La questione sociale non solo è dirimente ma, a seconda della sua soluzione più o meno soddisfacente, influenzerà l’andamento della prossima stagione politica, a partire dal Referendum costituzionale.

*Pd, Presidente della Commissione Lavoro alla Camera dei Deputati