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Le ultime voci di Rigopiano

Le ultime voci di Rigopiano – LaPresse

Rigopiano Un anno fa 29 persone morivano in un hotel seppellito da una valanga. Il racconto del figlio di due vittime, tra il ricordo dell’ultima telefonata dei genitori e l’attesa di giustizia. Quella in Abruzzo è stata la tragedia più grave causata in Italia da una slavina dal 1916

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 18 gennaio 2019

«Siamo in attesa di poter lasciare l’albergo. Siamo spaventati e abbiamo premura di andarcene. Abbiamo qui le valigie e la nostra jeep è pronta, sulla strada, assieme alle altre macchine. Sono tutte in colonna. Appena arriva la turbina riscendiamo…».

SONO LE 16.30 del 18 gennaio 2017 quando Tobia Foresta, 60 anni, dipendente dell’Agenzia delle entrate e la moglie Bianca Iudicone, 50 anni, commerciante, residenti a Città Sant’Angelo in provincia di Pescara, confidano al telefono all’unico figlio, Marco, all’epoca 28 anni, i propri timori.

Sono all’Hotel Rigopiano, a Farindola (Pescara). Circa mezz’ora dopo la chiamata, l’albergo, dove tra ospiti e dipendenti sono in 40, verrà travolto e sventrato da una valanga che farà 29 morti. Sarà la tragedia più grave causata in Italia da una slavina dal 1916. «Avevano paura – racconta Marco Foresta – e, soprattutto, dopo avere aspettato per ore, cominciavano a dubitare della possibilità dell’arrivo dei mezzi necessari per liberare l’unica via di accesso. E di fuga…».

È STATO UN MATTINO DA INCUBO, con almeno tre forti scosse di terremoto, di magnitudo superiore a 5. E poi tutta quella neve che scende, e non finisce mai di venir giù. Il paesaggio quasi fiabesco inquieta. Quindi bagagli alla mano, i clienti del resort, radunati, per lo più nella hall, sono pronti a ripartire. Aspettando lo spazzaneve, che non arriverà ad aprire l’agognato percorso nella muraglia bianca. Perché non è disponibile, perché ce ne sono ma sono fuori uso, devono essere riparati, perché l’Abruzzo è sconvolto dal maltempo, inghiottito dal gelo, è per lo più senza luce e nell’isolamento, inondato dalla tormenta, nel parapiglia dell’emergenza, perché – come ha accertato la Procura di Pescara sul disastro e riferiscono le intercettazioni – viene deciso che «in quel posto di lusso», a 1.200 metri, possono anche attendere…

Poi l’urlo, devastante, della montagna, che aggredisce e uccide. Ma ai primi allarmi nessuno vuole credere. La colonna dei soccorsi parte solo tra le 19.30 e le 20 e solo con gli sci e a notte fonda, torcia in testa, e nella bufera raggiunge Rigopiano. Solo l’alba svelerà l’accaduto: è tutto sepolto. Nei giorni successivi si scava, in uno scenario difficile, in condizioni complicate.

«I MIEI GENITORI – riprende Marco – sono stati tra gli ultimi ad essere estratti, il 25 gennaio, dai soccorritori da sotto il ghiaccio e le macerie. Li hanno trovati vicini, nel bar… Mio padre era di Montalto Uffugo, in provincia di Cosenza. La famiglia di mia madre era di origini pugliesi. Si erano conosciuti a Torino». E avevano deciso di stabilirsi in Abruzzo. «Erano partiti il giorno prima, ricorda il giovane, sarei dovuto andare anch’io con loro. Ma all’ultimo ho rinunciato, perché non ho trovato nessuno che si occupasse degli animali». «Resto qui, bado io ai cani», ha detto ai suoi, che sarebbero dovuti rientrare il 19. «Non immaginavo di non rivederli più».

SI È SALVATO, ma «la tranquillità è finita». È rimasto solo. E due anni va avanti stritolato tra il dolore per la famiglia sterminata e i problemi economici, in cui «sono stato catapultato di punto in bianco senza appiglio». «Sulla casa pendeva un mutuo, per altri 20 anni. Mi sono ritrovato sommerso dai debiti e senza introiti». La mamma, a Montesilvano (Pe), aveva il negozio di intimo e abbigliamento «La coccinella», che è stato costretto a chiudere. «Di recente – continua – ho dovuto abbassare le serrande della mia enoteca-vineria avviata pochi mesi prima della catastrofe: tra spese della casa e del locale, non ce la facevo più».

ORA È DISOCCUPATO, in cerca di un lavoro, con la sua laurea in Scienze politiche e quella passione, accantonata, per viti e vini che lo aveva spinto a diventare sommelier. «Da lì l’apertura di un’impresa a conduzione familiare, a Pescara, denominata “La barrique”, che si è infranta contro il dramma».

In aiuto gli sono andati i nonni materni. «Hanno venduto la loro abitazione in provincia di Latina e si sono trasferiti a Pescara per starmi vicino. Una certezza per adesso mi resta: non voglio abbandonare casa, è l’unica cosa che mi è rimasta. E, in essa, ci sono, con i loro sacrifici e i momenti passati insieme, anche i miei genitori». Che si erano ritagliati un po’ di tempo per una mini vacanza in un luogo d’incanto, tra gli addobbi e la magia del Natale.

SULLA SCIAGURA DI RIGOPIANO ci sono due inchieste della magistratura. «Sono in dirittura d’arrivo – riflette Marco -. Di errori ce ne sono stati, da parte di tanti, come è saltato fuori. C’è stato un vero e proprio corto circuito, anche a livello istituzionale. Ne avremo di battaglie da affrontare nelle aule di tribunale, dove si rincorreranno per anni, nomi e volti a noi cari. Aspettiamo la giustizia, quindi, contiamo su di essa, non potendo più contare sull’affetto dei nostri familiari».

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