«Lettor mio, hai tu spasimato?». «No». «Questo libro non è per te». L’avvertenza con cui Cesare Cantù apre nel 1838 il suo Margherita Pusterla, è chiara: chi non sa fremere, indignarsi, commuoversi a ogni pagina, farà bene a tenersi lontano da quest’opera più vicina a Manzoni che a Ponson du Terrail, ma non sprovvista degli elementi che, notava Gramsci, stabiliscono punti di contatto tra il classico romanzo ottocentesco e la letteratura popolare. Non a caso Umberto Eco e Cesare Sughi scelsero l’epigrafe di Cantù per la copertina di Cent’anni dopo, Almanacco Bompiani del 1972 – firme illustri, un’azzeccata collazione di...