Saintes-Maries-de-la-Mer è un piccolo villaggio meticcio con forti influenze ispaniche adagiato su una duna di sabbia formata dal tuffo in mare del Rodano, fiume che da vita alla selvaggia palude in cui il Mediterraneo entra in Francia: la Camargue, terra di gitani (Rom, Sinti e Manouches) e di pirati.

ALL’ARRIVO, in una calda e grigia giornata estiva, il paese mostra tutta la sua formidabile forza. La piazza principale è l’arena di sabbia in cui un enorme cavallo alsaziano nero da guerra sta dando bella mostra di sé, montato da una cavaliera gitana. Intorno altre ragazze con i loro cavalli sono in attesa; box e van completano il paesaggio.

È in corso una fiera del cavallo, luogo di incontro tra arti equestri e zigane. Incuriosisce la presenza quasi esclusivamente femminile delle domatrici. Sul borgo, di cui Van Gogh dipinse le barche sulla spiaggia, domina un’imponente chiesa-fortezza di epoca carolingia con le effigi di tre donne senza testa, sormontata da un torrione di guardia per contenere gli efferati attacchi dei pirati saraceni, costruita tra il VI e il XII secolo, probabilmente su un tempio arcaico e su una sorgente di acqua miracolosa, per evangelizzare la campagna ancora pagana: è Notre-Dame-de-la-Mer.

ALL’INTERNO, nella cappella superiore sono custodite due statue di donne in una barca; il «cuscino delle sante», una lastra di marmo; due teche contenenti resti di corpi femminili e dei loro teschi rinvenuti a forma di croce a una certa distanza.

Ma il luogo davvero inquietante è la cripta: un buio e claustrofobico stanzone dal caldo opprimente agevolato dal basso soffitto, soprannominato non a caso dai gitani il «ventre della madre», ospita un corpo di donna sormontato da una piccola testa nera, avvolto in ricche stoffe e carico di gioielli, circondato da centinaia di ceri accesi.

A SAINTES-MARIES-DE-LA-MER venerano tre Marie giunte dal mare (anche se sulla provenienza della terza esistono versioni discordanti).

La Legenda Aurea (Jacopo da Varagine, sec. XIII) narra che qui approdarono, nel 48 D.C. su una zattera senza remi né vele, i primi esuli dalla Palestina, rifugiati dalle persecuzioni iniziate dopo la crocifissione di Gesù. E non erano migranti qualsiasi. Maria Maddalena (con la sorella Marta di Betania e il fratello Lazzaro il resuscitato, che diventerà il primo vescovo di Marsiglia), Maria Jacobi, parente di Maria di Nazareth, e Maria Salomé erano state, infatti, testimoni della morte e della resurrezione di Cristo.

Maria è un nome di origine ebraica, forse già egizio (Miryam d’Egitto, sorella di Mosè), che può significare tutto: amore, amaro, amante, perfezione, ribellione, stella del mare. In questa storia di donne migranti e zigane sarebbe suggestivo derivarlo da meri (ribellione) e am (loro), teoria minore e subito abbandonata di un orientalista tedesco della fine del ‘700, Wilhelm Gesenius, sebbene mantenuta viva da alcuni suoi studenti.

Quando però, durante gli scavi del 1448 effettuati dal duca d’Anjou – da cui effettivamente origina il culto delle Tre Marie – furono rinvenuti due soli corpi femminili decollati, si ricostruì che Maddalena aveva proseguito il viaggio, insieme ai fratelli, verso Sainte-Baume. A quel punto era necessario ricomporre la triade. Ecco, allora, apparire l’ipotesi di un’altra donna.

SARA, LA PERSONAGGIA più oscura e potente fu, dunque, prontamente sostituita a Maria Maddalena. Forse signora locale, forse schiava nera approdata con loro, piuttosto che figlia segreta di Gesù e di Maddalena, la vera protagonista è proprio la nuova arrivata. Nella versione cristiana, loro ancella proveniente dall’Alto Egitto, stese un mantello sulle acque per trarre le Marie in salvo.

Nella leggenda gitana Sara è la Kali, la nera, una nobile rom madre dei senza casa (Franz de Ville, Zingari, 1956) che guidò la sua tribù politeista nel delta del Rodano. Regina tra la sua gente e accampata presso Aigues-Mortes, sognò il naufragio e spogliandosi precipitosamente si gettò in mare in soccorso della zattera alla deriva, portando poi le superstiti al suo tempio pagano, l’allora Notre Dame di Ratis.

KALI IN INDIA è dea della fertilità e della morte, ha il volto nero e viene immersa nelle acque, così come avviene nelle celebrazioni di Sara la Nera. L’India è considerata paese di origine dei rom, che risultano collocati in Francia già in epoca precristiana; anche se la versione più accreditata li considera di origine ebraica antecedente alla migrazione in India. Li rintraccia, comunque, con certezza in quella zona solo dal XV secolo, periodo in cui diverse date coinciderebbero ad accreditare l’avvio del culto delle nostre Marie: il ritrovamento dei resti di due di esse (1448); la prima citazione di Sara nei documenti (1521 in la Légende des saintes Maries di V. Philippon); l’arrivo, appunto, dei rom in Camargue (1419). Si può ipotizzare che allora, probabilmente i rom, per sfuggire l’Inquisizione di cui erano tra le vittime preferite, potrebbero aver posto la loro Kali sotto la protezione delle Marie unendo, così, le due venerazioni.
Qualunque sia la versione è comunque lei, misteriosa dea pagana, rom o serva, la salvatrice delle Marie. Un’eroina mai canonizzata e di cui la Chiesa ha, ovviamente, sempre diffidato. Forse sta proprio qui la sua forza misteriosa.

LA FESTA GITANA. Il 24 e il 25 maggio di ogni anno, i gitani di tutta Europa, Rom Manouche o Sinti, si danno appuntamento qui per festeggiare la loro patrona, protettrice di tutti i nomadi del mondo. La sua statua addobbata a festa viene portata in processione in mare dai gardiens, i gitani a cavallo. La festa prosegue poi, tra canti e balli al suono zigano dei violini in un tripudio di abiti variopinti, con banchetti, tornei a cavallo e corride (non violente) dei toros neri tipici di quelle paludi. Negli ultimi anni la venerazione per Sara la Kali ha superato il culto per le due tradizionali Marie e la folla, che accorre da tutto il mondo per celebrarla, sembra crescere in continuazione.

SARÀ PER IL POTERE simbolico di donna, gitana, patrona del mare e degli ultimi, che emana da secoli. Oppure perché abita un delta meticcio in cui culture diverse confluiscono per gettarsi in Europa in quella contaminazione continua e inarrestabile che è la vita nel mondo.

Sta di fatto che questa storia potente di donne e di migranti, ci racconta che furono una «zingara» e due profughe palestinesi, approdate su una spiaggia del Mediterraneo, in una terra di frontiera dai confini naturalmente liquidi e incerti, ad avviare l’evangelizzazione del continente Europeo.

Esse costruirono, sull’impianto di un tempio pagano, l’oratorio per la celebrazione dei propri riti che ancora oggi costituiscono un culto meticcio in cui una «zingara/schiava» non canonizzata è venerata insieme a due delle Marie di Cristo.

E chissà che già allora non avessero tutte delle splendide unghie laccate di rosso.