Le tre ingiustizie del canone Rai in bolletta
Le riforme dovrebbero essere una cosa seria. Questo vuol dire che esso debbono rifiutare – sempre – le improvvisazioni e gli annunci a effetto: affinché possano riuscire senza fare danni, […]
Le riforme dovrebbero essere una cosa seria. Questo vuol dire che esso debbono rifiutare – sempre – le improvvisazioni e gli annunci a effetto: affinché possano riuscire senza fare danni, […]
Le riforme dovrebbero essere una cosa seria. Questo vuol dire che esso debbono rifiutare – sempre – le improvvisazioni e gli annunci a effetto: affinché possano riuscire senza fare danni, senza aprire la strada a una sequela di ricorsi, e perfino per mettersi al riparo dal ridicolo.
Che il canone Rai abbia un certo tasso di evasione, è vero. Esistono però già delle sanzioni, anche onerose. Esiste soprattutto un meccanismo di controllo, perché i rivenditori di apparecchi radio e televisivi sono tenuti a inoltrare alla Rai e agli organi dell’amministrazione finanziaria dello stato tutti i nominativi degli acquirenti di apparecchi radiofonici e televisivi. Se questo meccanismo non funziona bene, la responsabilità è di chi gestisce il controllo. Si obietterà che nonostante tutto qualche evasione permane. Allora si provveda nei confronti di dovrebbe effettuare il controllo e si renda più efficaci il sistema.
C’è però anche un’evasione che ha delle ragioni di principio, e infatti furono perfino organizzate in passato delle campagne basate sull’iniquità di questa imposizione e sul conseguente invito all’evasione. Ma questo fenomeno sembra essersi esaurito. Incominciamo però, anche ricordando quelle campagne, a toccare un punto di principio, reale e assolutamente non infondato.
Oggi esistono – e operano in piena legalità – trasmissioni radiofoniche e televisive non realizzate dalla Rai. Perciò non sembra equo stabilire e imporre con la forza di sanzioni che il canone debbano pagarlo anche gli utenti che si servono unicamente di reti diverse da quelle della Rai. A questa obiezione, è possibile rispondere che anche quegli utenti potrebbero usufruire dei programmi Rai. Anche questo è un argomento – in favore dell’obbligatorietà del canone – al quale potrebbe riconoscersi qualche fondamento.
Adesso veniamo però al punto chiave, rispetto al quale non sembrano argomentabili delle forti obiezioni. La Rai dovrebbe assicurare innanzi tutto un servizio di diffusione di notizie: questo si stabilì per l prima volta il canone, aveva prevalentemente questa funzione. Ma oggi, è veramente assai contestabile che tale funzione essa la svolga in modo equilibrato e puntuale.
La Rai infatti non offre una rete esclusivamente adibita a informazioni tempestive, né riesce a farlo davvero con tutte le sue reti sull’intero territorio nazionale. Per l’informazione, gli utenti debbono inoltre aspettare i telegiornali, i quali hanno una frequenza di molto inferiore a quella di emittenti straniere (si pensi a ciò che invece invece in Francia, Germania, Inghilterra, eccetera). Perfino sugli orari dedicati alle trasmissioni di informazione, l’utente non può affare affidamento di puntualità: talvolta essa viene invece subordinata alla scelta di dare la precedenza alla conclusione di trasmissioni di spettacolo.
E veniamo infine ai due punti più importanti, che tolgono la legittimazione a un’imposizione che si vuole rendere rigorosissima. Il primo punto è quello della qualità dell’informazione: dalla Rai, essa viene costantemente subordinata, anche in modo arrogante, alle esigenze di propaganda a sostegno del governo in carica. Questa è una prassi antica, scandalosa e prevaricante nei confronti degli utenti e delle forze politiche che non sono al governo. Il secondo punto è che i programmi della Rai vengono infarciti in modo devastante e prepotente dalla pubblicità che li interrompe di continuo.
Che l’utente debba subire anche un rigoroso regime di controllo sul versamento del canone a fronte di tale servizio, non pare proprio ammissibile, da nessun punto di vista. Né morale, né giuridico.
Ancora qualche considerazione. Fra gli utenti dell’energia elettrica, ci sono anche casolari disabitati, fondi agricoli e simili, nei quali non è logicamente ipotizzabile che esistano degli apparecchi radiofonici e televisivi: eppure, anche quei luoghi sperduti possono trovarsi negli archi dei fornitori di energia elettrica cui il governo vorrebbe imporre il canone Rai. Si è voluta a tutti i costi la privatizzazione dell’energia elettrica. Resta perciò da vedere come potranno i fornitori privati di energia essere obbligati a fornire all’esterno, a fini differenti da quelli contrattuali, i nominativi dei loro utenti, violando così i loro obblighi contrattuali di riservatezza e rispetto della privacy.
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