Qualche giorno fa, l’odioso virus che imperversa sull’intero pianeta ha colto anche la vita di Franco Ramella, uno degli osservatori più acuti dei movimenti politici e di popolazioni che hanno agitato e costruito il mondo delle società contemporanee.
È stato un grande storico. Ma la sua fama era soprattutto internazionale. Quanto all’Italia, l’ambiente accademico aveva difficoltà a cogliere l’importanza di uno studioso che ottenne il suo primo incarico universitario all’età di 50 anni. Lui sapeva di essere un professore marginale ma lo rivendicava anche con forza. La sua singolare identità accademica era l’esito di un percorso non convenzionale che gli aveva permesso di maturare una conoscenza diretta e non mediata dei meccanismi che agitano il ventre delle società contemporanee.
Per parlare di Franco Ramella e per capire il significato profondo del suo lavoro si dovrebbero evocare tutte le tappe che segnano il suo percorso. Ma si può forse iniziare dal 1965, quando succede a Pino Ferraris come segretario dello Psiup di Biella. È anche il momento dell’incontro con Luciana Benigno, la compagna della sua vita, che lo ricorda come un giovane pieno di entusiasmo ma spossato dalla gestione della sezione locale e incatenato alla macchina da scrivere per immaginare e preparare, da cima a fondo, la pubblicazione del Corriere socialista del biellese. Un lavoro attraverso cui aveva stabilito legami importanti con molti personaggi di grande umanità. Ma che gli aveva anche procurato un’ulcera cronica e le prime delusioni rispetto a certe forme di militanza determinate soprattutto da una ricerca di protagonismo.

È FORSE QUESTA PRIMA discrepanza tra immagine e contenuto dei ruoli sociali a spiegare la sua decisione di abbandonare la militanza nel 1972, allo scioglimento dello Psiup. Alcuni suoi compagni erano riconfluiti nel Psi, altri si erano uniti alla sinistra extraparlamentare. Franco Ramella aveva invece preferito allontanarsi lavorando come giornalista e scrittore freelance per diversi giornali e piccoli editori torinesi. Un momento difficile ma anche una opportunità di nuove avventure e suggestioni. Poi, con il progressivo radicamento nel tessuto intellettuale torinese, i primi incarichi di ricerca.
A partire dal 1974 inizia a collaborare con il Centro Gobetti che gli chiede di catalogare e organizzare l’imponente massa di documenti sui movimenti del ’68, che formeranno il Fondo Marcello Vitale. Insieme a Luciana, si occupa dell’allestimento dell’opuscolo per i venti anni del Centro Gobetti e, soprattutto, inizia il lungo lavoro di scavo della cronaca manoscritta degli scioperi operai della Valle Strona. Un documento raro in cui lei si era imbattuta accompagnando Pino Ferraris nelle sue peregrinazioni sulle orme del mondo operaio biellese e di cui aveva curato una trascrizione critica per la sua tesi, diretta da Giovanni Levi, allora giovane storico con un approccio militante.
Ramella era stato colpito dal documento. Il lavoro di archivio e le immagini sfocate di un mondo scomparso che aveva tentato con enormi sofferenze di opporsi allo sviluppo della tessitura meccanica lo spronano a tentare di dissolvere le brume che ci separano dai fatti passati per coglierli nel loro contesto, attraverso lo sguardo degli uomini e delle donne che avevano vissuto queste lotte.

IL LAVORO SUL MANOSCRITTO della Valle Strona si è dunque allargato e, attraverso una massiccia ricostruzione storica, diviene Terra e telai, il magnifico libro pubblicato nel 1984 (per Einaudi). Un testo denso, frutto di un lavoro intenso sui documenti d’archivio e della sua profonda connessione con lo spazio di quelle valli e la vita delle loro famiglie operaie. Il movimento operaio, sosteneva, non è spiegabile soltanto attraverso categorie quali il rapporto con il mercato del lavoro, il sistema produttivo o la posizione di classe. È l’espressione di forme in cui si condensano fatti e percorsi di vita. «Anche gli operai hanno una mamma», pare abbia detto nell’intervento a un convegno, suggerendo che le pratiche politiche riflettono anche i rapporti intrecciati con famiglie, parentele, e lo spazio fisico e sociale più largo.

IN QUESTO CONTESTO, l’orizzonte migratorio emerge come centrale. È una delle conclusioni importanti di Terra e telai ma è anche il punto di partenza per una nuova fase della vita di Franco Ramella come uomo, marito e ricercatore. Siamo all’inizio degli anni ’80. Il suo libro non è ancora terminato. Ma i lavori archivistici svolti con Luciana Benigno e le prime sue esplorazioni sui percorsi migratori sono conosciuti. La Banca Sella, che intende celebrare nel 1986 il centenario della sua fondazione, incarica la coppia di raccogliere una vasta documentazione sui percorsi delle donne e degli uomini che sono partiti per cercare fortuna all’estero.
Il progetto è ben sovvenzionato. Lui non ha un lavoro stabile e lei si mette in prepensione. Prendono le loro valigie e partono: prima la Francia, poi Paterson, negli Stati Uniti, poi il sud America, attraverso le città industriali dell’Argentina, poi ancora l’Italia e di nuovo la Francia. Tra il 1980 e il 1986, i due globetrotters intellettuali hanno prodotto centinaia di pagine di osservazioni minuziosamente raccolte negli archivi più lontani.
Di questo periodo ci restano testi molto belli e acuti su cosa vuol dire migrare. Testi di un osservatore che articola con maturità gli strumenti della storia, dell’etnologia e della sociologia. Si veda lo straordinario One Family, Two Worlds: An Italian Family’s Correspondence Across the Atlantic (Rutgers, 1990, co-curato con Samuel Baily), analisi precisa del lungo carteggio della famiglia Sola con i tre figli in movimento tra Buenos Aires e New York, ed altri lavori ancora, che disegnano un percorso di ricerca ben oltre la committenza della fondazione Sella. Tra il 1980 e il 2000, Franco Ramella redige più di quaranta articoli sulle forme dell’impatto migratorio in contesti e in momenti storici precisi. Sono testi pubblicati in varie lingue e nati dallo stimolo di dibattiti aperti con un ventaglio di colleghi italiani e stranieri.

È UN GRANDE STORICO per la sua curiosità intellettuale e la capacità pregnante di osservazione e analisi. Ma la sua forza risiede anche in quello che è sempre apparso come un vero sodalizio di ricerca stabilito tra lui e la moglie Luciana fin dal primo incontro. L’immagine che potrebbe meglio esprimere la natura della loro collaborazione è quella di una coppia «proto-industriale» della ricerca. Insieme hanno visitato archivi, preso appunti, redatto rapporti e discusso testi. E sicuramente il connubio delle loro intelligenze unite nello stesso progetto ha giovato enormemente a ciò che leggiamo di Ramella.

A PARTIRE DAL 2000, come molti ricercatori, incrocia le tensioni che attraversano le società europee sui temi delle migrazioni extracomunitarie. Le sue domande si spostano sulla necessità di cogliere la natura di questi fenomeni utilizzando il metodo comparativo. Comparare, in altri termini, le migrazioni del passato con quelle del presente e, nello stesso tempo, le migrazioni interne con le migrazioni extracomunitarie.
Utilizzando tecniche sviluppate nei suoi studi americani, segue singoli emigrati a Torino negli anni Sessanta, mostrando come le loro esigenze familiari e i meccanismi tipici delle migrazioni definiscono una distinta classe operaia di origine meridionale. Più tardi si occupa anche delle cosiddette seconde generazioni, scoprendo ad esempio fortissime similarità tra le difficoltà scolastiche dei figli di migranti interni e di figli di migranti stranieri a Torino, difficoltà che riflettono i numerosissimi spostamenti nella città.
Risultati analoghi erano ottenuti nell’ambito del progetto, sviluppato con Angiolina Arru, che compara le migrazioni interne in epoca moderna e contemporanea. Anche in questo caso si evidenziava la costanza dei fenomeni che favorivano o contrastavano le scelte e i movimenti delle persone, e definivano le stesse modalità di integrazione, nonché i ruoli giocati dalle donne. Fenomeni semplici che rimandano ancora una volta alla natura delle reti di parentela e di relazione che gli immigrati (del passato o contemporanei, autoctoni o stranieri) possono mobilitare.

NEI TESTI che Franco Ramella pubblica negli ultimi vent’anni della sua vita ritroviamo la pienezza di un pensiero che si è sempre rifiutato di ridurre l’osservazione a categorie e visioni del mondo precostruite. Una postura che incontriamo, con tristezza, in un suo ultimo articolo dal titolo tragicamente evocativo: «Le nuove forme di mobilità della popolazione, la specificità della famiglia italiana e l’esplosione del coronavirus in Lombardia». Un’analisi che mostra, ancora una volta, il peso delle micro-dinamiche sociali nella determinazione di fenomeni epocali.