Sempre in cerca di traiettorie di libertà in musica. In musica contemporanea «dotta», campo nel quale l’affrancamento da procedimenti dottrinari rigidi è spesso difficile. Ivan Fedele è un compositore animato da questo desiderio di ulteriore libertà. Lo manifesta da tempo e in un nuovo caso: la pubblicazione in cd di Works for Violoncello (Kairos) dove gli accenti anti-accademici vengono esibiti proprio nel confronto con le forme musicali classiche, per la precisione barocche. Due Suites e una Partita per lo strumento solo, il mondo bachiano richiamato, un’affascinante aura di innovazione e di scioltezza espressiva. L’evento è combinato insieme al talento non regolato (non regolabile) di Michele Marco Rossi, un violoncellista giovane in piena ascesa. Il Preludio della Suite Francese VI (2018) è un esempio se vogliamo paradossale dell’attitudine spregiudicata di Fedele. Vi è mostrata un’assimilazione del barocco con una consequenzialità melodica (quasi un motivo) del tutto inaudita tra i «contemporanei radicali». Finta assimilazione, ovviamente: la realtà sonora è una decostruzione. Ma già con Corrente I della stessa Suite entriamo nel materico in un brano indiavolato, impudicamente «spettacolare» tra volate iperuraniche e immersioni in zone gravi un po’ torbide. C’è una gemma, i 2 minuti e 56 secondi più preziosi di questa Suite e di tutto l’album? Sì. Si tratta dell’Interludio che Fedele sottotitola lento metafisico. Un vero canto che sembra venire da antichi conventi e invece si rivela subito come la nuova vera forma (aperta) della meditazione sul tempo presente. Congiunzione di pochissimi suoni singoli giocati con una tensione emotiva fortissima. Un’idea in mente: la musica intransigente, persino estrema può cantare assai meglio di quella che viene prodotta in certe esperienze neoromantiche o di «contaminazione». In X-Waves e in Z-Point, movimenti terzo e quarto della Partita (2019) il dedicatario che è lo stesso Michele Marco Rossi convoca una certa qual voglia di teatralità a cui difficilmente rinuncia. Qui la materia sonora è più densa e il pensiero più aggrovigliato, come peraltro è giusto che sia nel tempo cronologico che viviamo. Il piglio in attacco di Branle Double, terzo movimento della Suite Francese III (2010), è sensazionale per incandescente incisività, così come il soffermarsi nell’inquietudine riflessiva tra suoni lunghi d’ombra e articolazioni classiche tipo «visita all’accademia con occhi nuovi». Riflettori sull’interprete. Al suo meglio. Sonorità luccicante/penetrante, indomito coraggio, concentrazione e abbandono al massimo grado.