Ogni musicista jazz è compositore. Anche se non scrive una nota o non disegna un suono sulla carta. Anche nel momento dell’assolo improvvisato il musicista jazz compone. Crea all’istante una musica che non c’era prima. Ma ci sono casi in cui il solista si dedica in un suo lavoro alla composizione nel senso di qualcosa che privilegia l’insieme di suoni. Saranno preordinati o no i suoni elettronici e le sovrapposizioni artificiali del suo strumento, la tromba, nell’album Appunti sul ‘900 (Sound Records) di Franco Baggiani? Non si sa. Resta il fatto che lui qui ci presenta 20 brani con molti fondali di suoni sintetici, con molti giochi polifonici, con molte traiettorie che rivelano una impostazione «orchestrale» dell’opera. Eppure è solo in sala di registrazione. Tromba, live electronics, rumori: questo l’organico. Tutto nelle sue mani. C’è l’improvvisazione, anche? Si immagina di sì, però i guizzi ultra-free di Baggiani alla tromba, vivacissimi, impertinenti, vengono integrati in una partitura (scritta o no non importa) che mette in atto suoni lunghi di tromba, suoni lunghi di live electronics, altri guizzi delle macchine, a volte pirotecnici. Ci sono passaggi di meditazione «per ensemble» costruiti con frasi cantabili di cantabilità severa, tipo Alban Berg, tipo Gil Evans, tipo Bill Dixon. Novecentesca, appunto. Una futuristica inattualità.