Quanta strada ha fatto lo ska (del cui storico revival del 1979 ricorrono i 40 anni): dalle oscure origini caraibiche alla testa delle classifiche «bianche» in Europa, Usa e non solo, fino a diventare uno stile, un’attitudine, condivisa da migliaia di persone, giovani e soprattutto «meno» giovani.
E dire che nel recente documentario One Man’s Madness del regista Jeff Baynes, sulla vita del sassofonista dei Madness, Lee Thompson, membri della band di One Step beyond ricordano come alla fine degli anni ’70 fosse aperto il dibattito tra i musicisti inglesi se i bianchi potessero suonare o meno reggae e ska.
Band come Clash, Police, Slits, Ruts e vari esponenti del punk e new wave lo avevano già dimostrato ma rimaneva una sorta di dubbio etico/artistico. Ci pensarono gli Specials a dissiparlo, portando sui palchi, fin dal 1977, una miscela di ska e soul con l’energia e l’attitudine del punk, vestiti come perfetti mod, soprattutto affiancando musicisti bianchi e neri. Particolarità ormai scontata ai nostri giorni, molto meno ai tempi. Se negli Usa, dove le differenze etniche erano ben più marcate, gruppi come Booker T and the MG’s, Sly and the Family Stone, la band di Santana o l’orchestra di Ray Charles avevano membri di diversa provenienza etnica, paradossalmente in Gran Bretagna era molto più raro. Solo gli Equals e gli Hot Chocolate avevano sfidato certe regole non scritte mentre lo stesso punk era un fenomeno in larga prevalenza «bianco».
NESSUNA PRECLUSIONE
L’immigrazione dalle West Indies dopo la seconda guerra mondiale, aveva portato parecchi ragazzi in Inghilterra, affiancatisi alla comunità indiana e pakistana. Ma laddove questi ultimi erano rimasti perlopiù impermeabili all’integrazione, sia culturalmente che socialmente, i latinoamericani, giamaicani in particolare (nazione indipendente dal Regno Unito solo nel 1962), erano progressivamente entrati nel cuore della società britannica, grazie soprattutto alle nuove subculture giovanili.
I mod in particolare non avevano preclusioni etniche e anzi ammiravano (assimilandone spesso alcuni aspetti) l’estetica dei rude boy giamaicani, impeccabile e allo stesso tempo stradaiola. E nemmeno disdegnavano, anzi, la loro musica, lo ska, che incominciò ad entrare nelle serate dei club frequentati dai ragazzi in parka, Vespa e Lambretta. Basti ricordare che Georgie Fame and the Bue Flames, l’artista più seguito dai primi mod, in quanto interprete eccelso di rhythm and blues, inseriva brani ska nel suo repertorio (vedi Humpty Dumpty di Eric Monty Morris, cantante degli Skatalites, che appare nel suo mitico esordio del 1964 Rhythm and Bues at the Flamingo insieme a Madness di Prince Buster), assumendo nella band anche musicisti giamaicani come Rico Rodriguez e Ernie Ranglin. Lo stesso Prince Buster ricordava che durante il suo primo tour in Inghilterra venne letteralmente scortato, città dopo città, da gruppi di mod in scooter, onde evitargli eventuali problemi di razzismo.
Il progressivo interesse per i ritmi in levare portò vari musicisti giamaicani in tour e sollecitò, nel 1968, la fondazione della Trojan Records, etichetta fondamentale per la diffusione e produzione di musica reggae e ska in Inghilterra, colonna sonora alla fine dei Sessanta del neonato movimento skinhead. La presenza di giovani neri nelle subculture contribuiva a mantere, tra l’altro, un certo equilibrio sociale nella working class inglese che non sempre vedeva di buon occhio la diversità di colore e la presenza in loco di chi fino a qualche anno prima era stato membro di una colonia. E che rivaleggiava con gli autoctoni in ambito lavorativo. Insomma, una storia vecchia che ha continuato a ripetersi.
IN ORIGINE
L’origine della musica ska viene fatta risalire agli anni successivi alla seconda guerra mondiale, quando in Giamaica i ragazzi incominciarono a sintonizzarsi sulle radio che trasmettevano da New Orleans, emittenti grazie alle quali le truppe Usa di stanza nell’isola ascoltavano blues, il jive di Louis Jordan e Louis Prima, jazz e swing.
Personaggi come Prince Buster o Duke Reid formarono i primi sound system per fare ascoltare e ballare i rari dischi che arrivavano comunque in Giamaica. Successivamente i primi musicisti incominciarono a proporre delle cover di brani rhythm and blues filtrati attraverso ritmiche caraibiche, sostituendo così il mento, la musica tradizionale più popolare allora nell’isola, molto simile al calypso.
I Djs (tra i più noti vengono ricordati nomi come Tom the Great Sebastian, V Rocket o Sir Coxsone Downbeat) viaggiavano da una città all’altra con le loro «Jamaican Mobile Disco», suonando dischi di Ray Charles, Fats Domino, Duke Ellington, in feste che duravano spesso tutto il weekend. Un suono e un genere che precederanno i ritmi più lenti del rocksteady, che tra il ’67 e il ’68, diventerà, a sua volta, quello che conosciamo oggi come reggae.
Musicisti come Don Drummond, Ronald Alphonso, Bunny and Skitter, Rico Rodriguez, Skatalites, Derrick Morgan, Laurel Aitken, Desmond Dekker sono i primi protagonisti della musica ska all’inizio degli anni Sessanta (nel 1959 il singolo Little Sheila di Laurel Aitken aveva dato ufficialmente il via al nuovo sound), registrando nel mitico Studio One di Kingston, mentre nel 1964 My Boy Lollipop di Millie Small è il primo hit ska che sbanca le classifiche di mezzo mondo.
«AL CAPONE»
Dal canto suo Prince Buster piazzerà nel 1964 il brano Al Capone nelle classifiche inglesi. Il tutto grazie soprattutto alla Blue Beat Records (lo ska in Inghilterra era meglio conosciuto come bluebeat), fondata nel 1960 con l’intento di importare calypso e mento, che contribuirà in maniera determinante alla diffusione del nuovo sound.
Prince Buster, Desmond Dekker, Laurel Aitken divennero icone mod e furono tra i pochi che suonarono nei club ai tempi. Dopo i fasti degli anni ’60 lo ska tornerà a vivere in un ambito sotterraneo, fruito in un circuito di nicchia fino al 1979 quando lo ritroviamo in auge – noto come ska revival – grazie all’etichetta 2 Tone Records, fondata dal tastierista degli Specials, Jerry Dammers, dedita di nuovo alla produzione di dischi ska e reggae. Succedeva esattamente 40 anni fa, con l’uscita, il 4 maggio 1979, di Gangsters/The Selecter, il singolo congiunto di The Special AKA (altro nome con cui sono noti gli Specials) vs The Selecter. Il tutto in contemporanea con la rinascita della scena mod, sull’onda dell’uscita del film Quadrophenia.

Lo stesso marchio dell’etichetta è emblematico, con un personaggio, Walt Jabsco, vestito in bianco e nero, ispirato da una vecchia foto di Peter Tosh ai tempi degli Wailers. Nella 2 Tone transitarono i principali nomi dello ska, dagli Specials ai Madness, dai Selecter ai Beat e alle Bodysnatchers (band tutta al femminile), fino a Elvis Costello (anche se il singolo previsto non venne mai pubblicato). Ricorda Suggs, voce dei Madness, che, dopo poco tempo che avevano scoperto e conosciuto gli Specials, un giorno Jerry Dammers gli chiese semplicemente: «Volete fare un disco? Uscirà per la mia etichetta, la 2 Tone». La label rappresenterà una visione identitaria, un senso di appartenenza a una dimensione non del tutto definita e «regolata» (come potevano essere punk, mod o skinhead) ma, al contrario, il più possibile aperta, dove le tre subculture di cui sopra si fondevano, si arricchivano l’una con l’altra, acquisivano una connotazione politica ben precisa (dall’anti razzismo, al femminismo, a una coscienza socialista e socializzante dove i testi, che raccontavano la cruda realtà inglese dei tempi, venivano cantati su brani da ballare nei club). Da quell’esperienza partì un nuovo filone che guardava alla 2 Tone, per svilupparsi poi in direzioni attigue, dagli scanzonati Bad Manners, agli Akrylikz (del futuro leader dei Fine Young Cannibals, Roland Gift), non dimenticando i Graduate di Roland Orzabal e Curt Smith (futuri Tears For Fears) con la loro Elvis Should Play Ska, o gli Equators che si accasarono nella Stiff Records con un classico Jamaica sound. Ma anche nel giro mod non mancavano gli omaggi espliciti allo ska, dai Merton Parkas del futuro Style Council Mick Talbot, ai Lambrettas che si imporranno con una versione in levare del classico rhythm and blues dei Coasters Poison Ivy. Perfino i Jam cedettero alle suggestioni ska nel demo del singolo Strange Town, perse poi nella versione definitiva.

nell’immagine i Madness

FUSIONI
Da allora lo ska è rimasto costantemente nel substrato della cultura musicale, rispuntando regolarmente, il più delle volte fuso con mille altre influenze (vedi la scena ska-core o ska-punk in cui alle tipiche ritmiche in levare si sono mescolate sonorità dure, veloci e aggressive), ma producendo anche nuove generazioni di devoti a questo sound e gruppi che continuano a riproporne fedelmente lo spirito originario.
La scena generata dalla 2 Tone Records rivive, ad esempio, in questi giorni con una nuova visibilità. E anche con una nota tragica. Il riferimento è alla recentescomparsa di Ranking Roger, leader di una delle due filiazioni dei Beat in attività (l’altra fa a capo al chitarrista Dave Wakeling, che opera con un repertorio simile negli Stati Uniti). I Beat incisero un solo singolo per l’etichetta di Jerry Dammers, una cover in levare di Tears of a Clown di Smokey Robinson, prima di fondare a loro volta una label, la Go Feet e sfondare con il primo album e il celebre singolo Mirror in the Bathroom.
Il testamento sonoro di Ranking Roger lo troviamo nel bellissimo nuovo album Public Confidential a nome The Beat Feat. Ranking Roger. Aiutato, tra gli altri, anche dal figlio e da Oscar Harrison degli Ocean Colour Scene, il disco presenta il classico groove originale degli ’80, tra dub, ska, reggae, skank e varie contaminazioni. Brani riuscitissimi, produzione eccellente.
Gli Specials hanno fatto ancora meglio con il recente Encore, album che sancisce il ritorno in formazione dello storico cantante Terry Hall (e l’inserimento di Steve Cradock, direttamente dalla band di Paul Weller). Non manca qualche esplicito omaggio alle origini ma Encore è un viaggio più dettagliato e ampio nella black music, con vari brani in chiave reggae, dub, funk e soul. Valga come esempio la riuscita cover di un funk pulsante come l’introduttiva Black Skin Blue Eyed Boys degli Equals. Testi profondi, a sfondo sociale e politico, combattivi e riflessivi, un eccellente album. Nella versione deluxe presente anche un live con una decina di classici del periodo ska. La passione per il genere campeggia anche in Zak Starkey, figlio di Ringo Starr, batterista degli Who (e in passato degli Oasis) che ha annunciato la nascita di una sua etichetta dedicata a reggae e ska, dal nome programmatico di Trojan Jamaica, che pubblicherà a breve la compilation Red, Gold, Green and Blue. A chiudere non si può dimenticare Rude Boy – The Story of Trojan Records, film di Nicolas Jack Davis che ripercorre proprio la storia della Trojan, etichetta madre della 2 Tone.