Tutto cominciò negli anni Settanta quando Larry Norman scrisse il brano Why Should the Devil Have All the Good Music (e ancora prima l’album Upon this Rock). Fino ad allora il rock era considerato un mezzo del demonio per traviare i giovani, al pari degli elementi da shake mortale per i Ned Flanders dell’american way, il sesso prematrimoniale e la droga. Articoli come quello di Eric Holmberg, protestante calvinista e regista di un documentario dall’eloquente titolo Hell’s Bells: The Dangers of Rock ’n’ Roll, vengono riportati come dogma dal sito evangelista per eccellenza, La Nuova Via. Sono, più che pezzi giornalistici, delle vere campagne contro i pericoli della musica con quell’aria perenne da accusa alla Torquemada che da sempre contraddistingue il fanatismo religioso. Eric Holmberg intitola il suo sermone Il rock e l’occulto ed esordisce con: «Come un cancro invisibile che inevitabilmente porta alla morte, così il seme satanico del rock è esploso in una sfacciata ossessione per l’occulto. Le allusioni criptiche al diavolo, già presenti nella musica dell’artista blues Robert Johnson (1911-1938), sono infine sfociate in una palese adorazione di Satana e dell’inferno, con i relativi simboli, liturgie, rituali e varie personalità messianiche seguaci di diversi ordini religiosi. Non abbiamo quindi più a che fare con piccoli culti sotterranei. Milioni di giovani sono stati travolti da questa moda. Essi continuano ad invocare questo dio blasfemo». Sembrerebbe l’incipit di un horror sul modello di Morte a 33 giri, nel quale effettivamente il rock, stavolta nella variante metal, è il mezzo per evocare il demonio, magari nel classico disco fatto girare al contrario. Queste idee però cozzano con prepotenza con una strana variante del rock, il rock cristiano che, a sua volta ha generato dei sottogeneri che difficilmente assegneremo alla «parola di dio» domenicale, Il metal, il punk, l’hardcore e l’hip hop, ovviamente nella loro declinazione biblica e approvata da quello che Celentano definiva «il signore del piano di sopra».

EDUCAZIONE
«Uccidi un uomo di colore a mezzanotte solo per parlare con tua figlia/poi fai di sua moglie la tua padrona e lasciala senz’acqua/E il lenzuolo che indossi sul tuo viso è il lenzuolo su cui dormono i tuoi figli/ad ogni pasto dici una preghiera, non ci credi ma continui comunque».
(The Great American Novel, Larry Norman).
Norman nacque nel 1947 nel Texas, precisamente a Corpus Christi, e la sua educazione fu ovviamente di stampo fortemente religioso. Il suo mondo ebbe una scossa quando, da bambino, conobbe la musica di Elvis Presley: da lì l’idea che il rock poteva essere il mezzo per portare la parola di dio agli «ultimi», i carcerati, i disperati, i derelitti sociali. Il rock non era, e non doveva essere, un mezzo di Satana per fuorviare le menti dei più giovani. Il suo look ribelle, capelli lunghi e abiti da hippie, lo mettevano in cattiva luce davanti a una chiesa che non capiva la modernità di un nuovo modo di concepire la musica. Grazie alle canzoni di Larry Norman nasceva il rock cattolico che si soprapponeva all’idea vetusta di canzoni poco accattivanti e ritmate, una vera rivoluzione che portava una ventata di ribellione giovane con pezzi vivaci che però non dimenticavano mai né l’amore per dio né il suo messaggio. Si dice che il suo disco Only Visiting This Planet del 1972 sia uno dei migliori album di musica cristiana di tutti i tempi, eppure molte radio di chiesa avevano bollato i lavori di Larry Norman con l’etichetta: «Non suonare questa canzone». «La chiesa odiava assolutamente quello che stava facendo perché pensavano che il rock and roll fosse la musica del diavolo», scrisse Gregory Alan Thornbury nel saggio Why Should the Devil Have All the Good Music ? Larry Norman e i pericoli del Christian Rock, una biografia sul cantante e sul suo rapporto controverso con la religione. Evangelisti televisivi come Bob Larson o Jimmy Swaggart ribattezzarono il primo disco del cantante, Upon This Rock del 1969, «la nuova pornografia», e il christian rock’n’roll come «un compromesso peccaminoso di mondanità e sensualità immorale». Anche la critica si spezzò, da una parte ci furono recensioni esaltanti e dall’altra negative, ai limiti dell’ingiurioso, con stroncature al pari di «La fede può spostare le montagne, quindi potrebbe spostare persino questo incredibile pezzo di arroganza di questa sorta di ermafrodita» o «un tour musicale d’inenarrabile miseria» o ancora: «È certo che qualcuno abbia dato ha dato a Larry Norman un contratto discografico, ma di certo dio non gli ha fatto dono di una bella voce». Eppure Upon This Rock era il primo disco di una major a sposare con stile la musica rock con il vangelo, tanto da essere ribattezzato«il Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band del cristianesimo».Upon This Rock era comunque qualcosa di innovativo, anche ascoltandolo ora, a 51 anni dal suo esordio, un esaltante e sapiente mix di influenze folk, psichedeliche e rock, combinato con un linguaggio da strada. «Il mio primo album – dichiarava lo stesso Norman – è stato scritto al di fuori della cultura cristiana. Ho usato l’umorismo e il sarcasmo abrasivo, per quanto possibile, che non era di certo un aspetto tradizionale della musica cristiana. Ho scelto un immaginario negativo per tentare di consegnare un messaggio positivo, come con I Do not Believe in Miracles. Le mie canzoni non sono state scritte per i cristiani bigotti. Le ho immaginate come una rissa da strada. Ho voluto mettere da parte la tradizionale musica gospel a quartetto, abbattere le porte della chiesa e lasciare entrare nella casa di dio gli hippie, le prostitute e tutte quelle persone che i bravi credenti guardano dall’alto in basso, volevo parlare di nutrire i poveri. La maggior parte della musica moderna che parlava di nostro signore era anemica e io ho cercato un modo per fargli una trasfusione». Manifesto del suo pensiero è la canzone Why Should the Devil Have All the Good Music, presente nell’album Only Visiting This Planet. Prima di questo pezzo se esisteva un rock cristiano era solo a livello umorale, subliminale, ma qui, prepotente e rivoluzionario, irrompe il pensiero di Larry Norman, rock puro e selvaggio al servizio di dio. Basta ascoltare le prime strofe: «Voglio che le persone sappiano che lui mi ha salvato l’anima/Ma ancora mi piace ascoltare la radio/Loro dicono che il rock ‘n’roll è sbagliato/Datemi ancora un’altra opportunità. Mi sento così bene che voglio alzarmi e danzare/Lo so bene cos’è giusto, e so cos’è sbagliato, non faccio confusione su certe cose/Quello che sto provando a dire è: Perché il diavolo dovrebbe avere tutta la buona musica?/Mi sento bene, Gesù è la mia roccia (rock, ndr) e lui ha rotolato (rolled, ndr) via la mia tristezza (blues, ndr)/Loro dicono che devo tagliarmi i capelli, mi stanno facendo diventare pazzo/Li ho fatti crescere cosi da avere più spazio per il mio cervello».

RICONOSCENZA
«Una delle ragioni per le quali dio ritirò il suo spirito dal movimento Jesus People, fu il loro rifiuto di abbandonare la loro vecchia musica. Essi abbandonarono la marijuana, l’eroina, l’alcool, il sesso promiscuo e gli stili di vita perversi che fino allora avevano praticato. Ma rifiutarono di abbandonare il loro amatissimo rock… Incredibile. Io dico che il suo potere è più forte delle droghe, dell’alcool, o del tabacco. Il rock, usato ed eseguito nel cristianesimo, è della stessa natura satanica di quello che viene chiamato punk, heavy metal ed è suonato in tutto il mondo». (Set the Trumpet to Your Mouth, David Wilkerson, 1985)
Bono Vox, leader degli U2, ha scritto canzoni, articoli, interventi a supporto del suo impegno etico e sociale, ribadendo la sua riconoscenza a dio anche nella sua musica. Quando nel ’99 scrisse l’introduzione al libro dei Salmi, il cantante spiegò il suo avvicinamento alla fede cristiana. Definì il re Davide, una star della Bibbia, paragonandolo a una sorta di Elvis Presley del testo sacro. La sua fede cattolica ha ispirato Gloria’, contenuta nell’album October, un vero e proprio atto di amore cristiano, ma non solo: tanti sono i riferimenti biblici negli album degli U2. Il cantante però non è l’unica star che ha abbracciato, nella vita e nella carriera, la via del signore. Basti pensare al rapper cristiano NF (al secolo Nathan Feuerstein), che con il suo album The Search ha conquistato il primo posto nella prestigiosa classifica di Billboard. Le canzoni di NF non usano il linguaggio volgare tipico della musica rap, parlano di temi positivi e di come gli insegnamenti della Bibbia possano guidare gli uomini nei momenti negativi. NF dice di ispirarsi a molti rapper «violenti», ma con una differenza: «Non voglio urlare di dolori, minacce, orrori. Voglio raccontare con l’hip hop tutto ciò che sento. E che c’è sempre una luce in fondo al tunnel: quella di dio». L’artista da noi è ancora sconosciuto ma negli States vanta milioni di follower, anche se le critiche alle sue canzoni non ci vanno leggere («Ha un disco al numero uno in America, ma il suo suono è misero», ha scritto di lui il New York Times). Nei suoi pezzi rime crude nei confronti della madre morta di overdose («Perché non hai voluto vedere i tuoi figli crescere? Mi chiedo se quelle pasticche fossero così importanti») si alternano alla dolcezza della sua fede cristiana («Signore perdonami, sono un peccatore, grazie per avermi dato la musica come medicina»). È uno strano corto circuito questo: in un contesto musicale, quello dell’hip hop, che da sempre celebra lo stereotipo sesso, droga e vita da gangster, viene portata alla luce una variante meno violenta, più virtuosa e densa di messaggi edificanti. Lo dimostra Chance The Rapper e il suo album più popolare, The Big Day, che è un’ode non alla violenza ma al matrimonio e all’amore: «Io e mia moglie abbiamo una vita meravigliosa che ha come pilastro la fede in dio. Non me ne vergogno a parlarne e a consigliarla ai miei fan» racconta l’artista di Chicago. John Cooper, leader degli Skillet, una hard rock band del Tennessee, urla invece la sua idea di musica nelle interviste: «Il rock non è solo droga, sesso e depravazione. Lo dico con forza anche se ogni volta che mi presento in una radio per un’intervista c’è qualcuno che cerca di mettermi in imbarazzo, di fare facili ironie, di screditare quello che diciamo nelle canzoni sostenendo che essere credenti è incompatibile con l’iconografia e lo stile di vita rock’n’roll. Sono solo vecchi pregiudizi». Storie e album che a volte arrivano alla massa, altre volte sono di nicchia, relegate alle Christian Charts, le classifiche di musica religiosa che però hanno un mercato sotterraneo di fatturati milionari. A volte però, come nel caso di Katy Perry che agli esordi si faceva ancora chiamare Katy Hudson e suonava in un band gospel, la fede è più labile: il successo non arrivava e, malgrado il dissenso del padre, un predicatore, si convertì al sexy pop cantando di baci lesbo. «Pregate per lei» sembra avesse detto il papà ai fedeli.
Anche l’heavy metal ha una sua deriva cattolica e il gruppo che più di ogni altro ha dato i natali a questo genere sono gli Stryper, una band heavy metal statunitense, formatasi a Orange County, California nel 1982, la prima ad avere un successo mondiale e a sbarcare su Mtv. La loro musica trae ispirazione da gruppi come Scorpions, Judas Priest, Van Halen, Cheap Trick, Aerosmith e Queen. La band si esibisce con costumi attillati gialli e neri, cinturini in pelle con le borchie, acconciature vaporose e catene pendenti, nulla di dissimile dai gruppi classici della scena metal, anche se in questo caso sarebbe giusto parlare di christian metal. Stiamo d’altronde parlando di una band i cui membri affermano che la loro missione è «cambiare alla fine l’intera faccia del rock dal male al bene», una band che lancia copie del Nuovo Testamento durante i concerti e che trae il nome da un versetto biblico(«dalle sue strisce siamo guariti», Isaia 53:5). Altra band che non ha mai nascosto la sua identità «cristiana» sono i californiani P.O.D., gruppo che tra fine Novanta e primi anni Duemila ha venduto 12 milioni di dischi in tutto il mondo e guadagnato tre nomination ai Grammy Awards. Il loro nome sta per Payable on Death, ed è riferito al sacrificio di Gesù Cristo per la salvezza dell’umanità. Negli anni Novanta anche la band grunge dei Creed (in italiano credo, dottrina) fu inserita, per alcune tematiche trattate nei testi, tra le band di christian rock ma furono gli stessi membri della formazione della Florida a smentire il fatto.

IL METODO ITALIA
«Ho cominciato con le imitazioni. Allora il rock’n’roll era una novità e se qualcuno lo cantava aveva successo anche se lo cantava male. Io imitavo Bill Haley per scherzare, con gli amici, in una sala da ballo in viale Zara. Avevo l’impostazione, ma per il resto ero tutto squadrato. Ma intanto si spargeva la voce che io cantavo il rock’n’roll…» (Adriano Celentano)
Si può asserire senza problemi che uno dei precursori del rock italiano con temi cristiani sia Adriano Celentano. Fin dagli esordi il suo unire dio con le sonorità alla Elvis è stato preponderante. In Tre passi avanti il cantante si butta in un’accusa contro il mondo beat dichiarando “«Caro Beat mi piaci tanto, sei forte perché hai portato oltre alla musica dei bellissimi colori che danno una nota di allegria in questo mondo pieno di nebbia. Però se i ragazzi che non si lavano, quelli che scappano di casa, e altri che si drogano e dimenticano dio fanno parte del tuo mondo. O cambi nome. O presto finirai». Ribelle sì per il modo di fare musica, per il sound, per un genere troppo fracassone per i benpensanti che ribattezzeranno il Molleggiato e i suoi colleghi rock «gli urlatori», al centro anche di un delizioso musicarello diretto dal padre dello splatter italiano, Lucio Fulci, la mente dietro hit come 24mila baci e Il tuo bacio è come un rock. Celentano fa musica giovane con derive statunitensi, una novità per l’Italia, però nel contempo esalta la famiglia, gli amici e punta il dito contro i vizi del mondo. Le sue canzoni, anche le più scatenate, parlano di dio e di fede, e, col passare del tempo, questa componente, religiosa e predicatoria, diventa un marchio dell’artista. È nel 1985 però che, grazie a Joan Lui, il suo pensiero prende la completa forma: il suo musical, con pezzi di vivace rock con derive jazz come L’uomo perfetto, condanna l’aborto, la droga e la violenza. E lo fa raccontando la storia in chiave moderna di Gesù.
L’Italia è uno dei paesi cattolici per eccellenza d’altronde, e Celentano è forse uno degli esempi più celebri, insieme alle band dei Gen Rosso e dei Gen Verde. D’altronde il rock cattolico, con tutte le sue derive, non è molto conosciuto dal grande pubblico italiano. Eppure esiste un festival musicale dedicato a questo sottogenere, il Rock for the King, nato a Prato, nel 2012, sul modello della più grande kermesse europea di christian metal, l’Elements of Rock, che si tiene ogni anno vicino Zurigo. Negli ultimi anni i The Sun, ad esempio, rappresentano probabilmente la rock band cristiana più popolare. Il gruppo, metamorfosi di una formazione punk rock convertita al cristianesimo, annovera numerosi passaggi su Mtv, nel 2010 pubblica un disco con Sony e apre le date italiane dei Deep Purple. «Noi siamo cristiani che suonano la musica rock e che utilizzano la musica per trasmettere un messaggio di amore, di gioia, in contrapposizione ai consueti messaggi di certa musica ‘hard’ che inneggia solo alla violenza, alla morte, alla negazione della vita» si raccontano i membri del gruppo. Anche sul piano metal in Italia abbiamo un’eccellenza cristiana: Frate Cesare Bonizzi, un tempo noto come Fratello Metallo, sacerdote e cantante heavy metal. «Rock vuol dire roccia, solidità concretezza, ritmica forte e intensa e cristiano vuol dire che accanto a queste qualità metti contenuti della nostra fede, che non è Gesù con gli occhi blu», racconta Fratello Metallo. I suoi primi cinque dischi erano «laici» e «rockettini», più leggeri, come il primo album Metallonium – poi la svolta verso l’heavy metal e la nascita di Fratello Metallo, nome utilizzato come ossimoro per combattere il luogo comune, di matrice cattolica, che associava questa musica al demonio. Misteri è il disco che lo consacra sulla scena metal, un oggetto curioso a partire dalla copertina: una foto dalle tinte dark in cui il frate cappuccino stringe con una mano un rosario di ferro e con l’altra fa il gesto del «devil’s horns», con tanto di suo nome che troneggia in alto in perfetto stile anni Ottanta. Altri nomi che in Italia portano avanti il rock cristiano sono i pisani Soul Scream, i romani The Only Way-RCC (acronimo di rock cristiano cattolico), ma anche Debora Vezzani, oltre un milione e mezzo di visualizzazioni su Youtube, con (l’atroce)Come un prodigio. Nel campo hip hop poi stanno emergendo i nomi di Kose, Routy Miura, Luca Maffi DJ e il suo «rap gesucristico», Shoek. Nell’heavy metal nascono gli S91, i Choirs of Veritas, gli Hypersonic, Enzo and The Glory Ensemble e gli Sleeping Romance e i siciliani Metatrone. Satana, stavolta, non è di casa.