Le strade della resistenza
Sottoculture Il film «On Resistance Street» racconta di come da un gruppo online di fan dei Clash è nata una rete antifascista tra Inghilterra, Usa e Irlanda. Sulle orme del mitico Rock against the racism
Sottoculture Il film «On Resistance Street» racconta di come da un gruppo online di fan dei Clash è nata una rete antifascista tra Inghilterra, Usa e Irlanda. Sulle orme del mitico Rock against the racism
Lo scorso 19 ottobre al Queen’s film theatre di Belfast circa duecento persone hanno assistito alla première internazionale di On Resistance Street, film documentario la cui genesi produttiva si intreccia alle vicende che ricostruisce. È una specie di meta-racconto a cavallo tra musica e politica, cultura e società, sfera virtuale e vita reale. Una trama che contiene un intreccio di storie, biografie, eredità che meritano di essere dipanate.
IL FILM SI muove su tre linee narrative. Dapprima ricostruisce la storia del rapporto tra antifascismo e antirazzismo e musica usando come baricentro il Rock against racism, vero e proprio movimento che nacque alla fine degli anni Settanta in Gran Bretagna quando illustri esponenti della musica mainstream cominciarono a riecheggiare gli argomenti xenofobi dell’estrema destra. Il caso più clamoroso fu quello di Eric Clapton, che pure era divenuto celebre reinterpretando i classici del blues e della musica nera americana. Per reazione, le giovani band delle sottoculture che si andavano affermando (il punk e la bass culture dei giamaicani trapiantati in Inghilterra) promossero eventi che segnarono una generazione e contribuirono ad arginare l’ondata razzista che anticipava la vittoria di Margaret Thatcher.
DAL MEGA-CONCERTO contro l’estrema destra del 30 aprile 1978 che coi Clash in prima linea raccolse 80 mila persone a Victoria Park, si torna indietro agli anni Cinquanta e all’incredibile storia rimossa della campagna portata avanti dai jazzisti londinesi contro l’estrema destra. L’organizzazione pionieristica antirazzista si chiamava Campaign For Interracial Friendship ed era formata da Cleo Laine, Johnny Dankworth, oltre che da famosi musicisti e artisti britannici, sulla scia delle rivolte di Notting Hill del settembre 1958. Il film mostra come furono coinvolte leggende della musica statunitense come Paul Robeson, Lena Horne e Frank Sinatra. Lo spirito è esplicitamente dichiarato: con le canzoni non si fanno le rivoluzioni ma non esistono rivoluzioni che non abbiano la propria musica.
CON LA FORZA di questo background, standing on the shoulders of the giants, il film passa a indagare le minacce dell’oggi: l’incubo della vittoria di Trump e del prevalere della Brexit e la forma velenosa con la quale alt-right e sovranismo provano ad appropriarsi delle sottoculture. È a questo punto che gli autori e produttori del documentario entrano in scena. Si tratta di Richard David, amico del frontman dei Clash Joe Strummer, e di Robin Banks, che ha fatto parte della crew della band e li ha spesso accompagnati on the road. È a quest’ultimo che il chitarrista Mick Jones si ispirò quando scrisse la romantica Stay Free, una ballad che celebra il ritorno alla libertà di un vecchio compagno di scuola dopo un periodo di detenzione.
DAVID E BANKS raccontano in prima persona ciò che hanno vissuto e che ha condotto al loro esperimento. Si è nel novembre del 2019, nel pieno della Brexit, quando il conservatore Boris Johnson, da poche settimane divenuto primo ministro, dichiara di ascoltare i Clash. La cosa genera stupore tra i fan di una band notoriamente schierata contro le destre, ma non è soltanto una sparata occasionale bensì il segnale di un processo ben più profondo e pericoloso. Negli stessi giorni, ad esempio, uno speculatore finanziario vicino ai conservatori si introduce nel forum di una pagina Facebook dedicata alla band per cercare di convincere gli utenti che bisognava abbandonare i vecchi schemi ideologici e che si poteva benissimo apprezzare Strummer e compagni da destra. Sono episodi di un più generale tentativo generale di conquista dell’immaginario, un assalto egemonico condotto proprio contro le culture che, come hanno dimostrato fin dagli anni Settanta almeno i sociologi della Scuola di Birmingham, contribuiscono a veicolare anticorpi contro la cultura dominante. Il populismo evidentemente ha bisogno di disinnescare quei linguaggi in chiave post-ideologica e usarli per i suoi scopi.
È COSÌ CHE David e Banks decidono di aprire la pagina fb Clash fans against right. Rivendicano lo spirito originario del gruppo, coinvolgono nella gestione della pagina altri fan che hanno esperienze di attivismo sociale tra Usa, Irlanda e Gran Bretagna, fanno di tutto per spostare dai social alla strada il centro delle loro attività. Lo considerano un tentativo, in pieno spirito punk, di prendere un mezzo e usarlo. «Abbiamo fatto quello che ci hanno insegnato i Clash: non abbiamo aspettato che qualcuno parlasse al posto nostro ma ci siamo gettati in mezzo allo scontro e abbiamo preso posizione», dice David al manifesto. «I Clash sono stati una band molto importante e i loro messaggi, in particolare molte delle dichiarazioni di Joe, hanno influenzato profondamente un’intera generazione – ci dice Robin Banks da Londra – Guardando indietro adesso, dal mio punto di vista e date tutte le esibizioni in vari posti a cui ho assistito, direi che come band dal vivo, la loro apparizione a Rock Against Racism è stata forse la cosa più importante che abbiano fatto, dato l’impatto che ha avuto. Contribuì ad aprire la mente di un sacco di giovani. Ancora oggi possiamo vedere la forza di quell’eredità, un gran numero di fan ha continuato a impegnarsi politicamente, molti sono ancora attivisti oggi. Lo vediamo in molti paesi in tutto il mondo, non solo in Gran Bretagna, e penso che i membri sopravvissuti possano essere molto orgogliosi di quell’enorme energia collettiva politicamente consapevole che la band ha ispirato a livello internazionale. Ciò su cui dobbiamo concentrarci ora, ovviamente, è in qualche modo aiutare a ispirare i giovani che affrontano il mondo di oggi, a raccogliere quelle energie e portare avanti la lotta contro il fascismo, il razzismo e il fanatismo. Sono certo che è quello che Joe Strummer vorrebbe vedere, se fosse ancora qui con noi».
IN QUESTO CASO si è trattato di provare a dare uno sbocco positivo alla controversa sfera dei social media, sempre più intossicata da propaganda reazionaria e polarizzazioni senza costrutto. Del resto, sostiene la sociologa afrodiscendente Kim-Marie Spence, una delle voci che compaiono nel film, «ogni rivoluzione contiene tante piccole rivoluzioni».
IL FILM TIENE INSIEME diversi spunti e fornisce più tracce da esplorare, non soltanto musicali. Ricostruisce anche il modo in cui la destra ha demonizzato la cultura woke (termine che viene proprio dagli inviti delle comunità afroamericane a stare in guardia e denunciare gli abusi). Anche qui siamo di fronte a un pericoloso ribaltamento: la campagna strisciante contro le «censure» (nella realtà dei fatti praticamente inesistenti) che verrebbero dal «politicamente corretto» e dalla cosiddetta «cancel culture» è solo una nuova maschera della storica abitudine vittimista dell’estrema destra di rivendicare strumentalmente agibilità e spazi e far passare antirazzisti, femministe e antifa come fanatici fuori dal mondo, moralisti e nemici della libertà.
I TANTI VOLTI e le molte voci che compaiono in On Resistance street forniscono un senso di sicurezza che non bisogna sottovalutare: anche nei momenti che paiono più difficili, uno zoccolo duro e plurale di uomini e donne, schierati dalla parte giusta attraverso i percorsi politici e culturali più impensabili, sarà al vostro fianco. È quanto garantisce nella sua testimonianza l’ormai canuto Terry Hooley, storico produttore delle prime punk band nordirlandesi e gestore del leggendario negozio di dischi di Belfast Good Vibrations: «La battaglia non è ancora finita. E quando ci sarà da combattere razzisti e reazionari, io sarò ancora lì».
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