Prima via Vittorio Emanuele, lasciandosi il Duomo sulla destra, quindi la chiesa appena restaurata di Sant’Agata alla Badia, con la sua cupola che di notte fa da cometa, poi San Placido, con la sua piazzetta conchiglia, a captare “u ciauru” del mare, fino alla cereria antica… Ecco: ancora qualche passo e ci siamo.

Era lo scorso settembre e come ogni estate cercavo un modo per salutare Catania prima di andar via. È stato così che mi sono ritrovata in mezzo a loro. Erano lì, per le stanze squisitamente reinventate di un museo settecentesco, reduci da secoli di destini coatti, da matrimoni non voluti e precoci, da mondi inospitali. Erano gemme di piante a lungo soffocate in vasi troppo piccoli, eppure ora splendevano, magnifiche, appena un po’ stanche, pallide, talora dormienti, trasfigurate.

Donne, Madonne, Sante & Regine”, così le ha viste Marella Ferrera, che ne ha curato la mostra nella sede del Complesso Biscari presso il “Museum & Fashion” che porta il suo nome. È lei – a colloquio con noi – che le ha ritrovate, accolte cullate, ed è lei che, riabitando l’antica tradizione pagana e cristiana della vestizione delle statue lignee con ori e indumenti preziosi, le ha rivestite con quegli abiti che le riconsegnano a se stesse e alle loro feste (come nel caso di Sant’Agata, cui la mostra è dedicata): tra drappeggi rilucenti e coralli come profondità di onde e di vene.

Donne “da cielo in terra a miracol mostrare” dunque, che però non a tutti è dato di incontrare. Apparentemente invisibili nella stanza che ospita anche l’installazione permanente della stilista (i suoi abiti dal ‘93 al 2001 come film viventi, sculture per lava, o rame, o sughero o ceramica che è possibile toccare secondo una ospitalità tattile che tante volte ha coinvolto persone non vedenti), le “Madonne” – manichini e ceroplastica, dal XVI alla prima metà del XX secolo, unitamente a creazioni contemporanee del Maestro Giammona – per un sensibilissimo gioco teatrale, saranno “svilate”solo a chi saprà accostarsi loro con il dovuto rispetto, con autentica meraviglia, con infinitesima cura.

Parliamo del concepimento della mostra. Cosa cercava.

Sembrerà strano ma sono state queste Madonne a trovarmi. La loro icona mi ha rapito. Insieme mi ha attratto l’idea di immaginare queste figure, ritrovate nel tempo presso antiquari e rigattieri nell’arco di 20, 30 anni, come strutture essenziali, nervose lignee, un po’ come manichini alla De Chirico, rivelarne una parte più intima, inaspettata. L’allestimento è poi un incontro tra pezzi della mia collezione privata e altri donati per l’occasione. A questo si aggiunge l’impronta di uno straordinario madonnaro, forse l’unico in Sicilia, in grado di restituirci una emozione così, grazie alla lavorazione di materie come frammenti di vita del passato.

Le storiche dell’arte, Carmela Cappa e Maria Teresa di Blasi, le sono state vicine in questa ricerca.

Ricordo quando avevo appena iniziato a montare le installazioni che una di loro mi ha detto, ma tu sapevi che c’era una Maria tessitrice? Proprio in quel momento, avevo messo un filo d’oro tra le mani di quella Madonna (opera siciliana del 700, ndr), una intuizione, ma no, non lo sapevo. Invece, di Maria tessitrice, si parla nei Vangeli. Il Signore le aveva dato da tessere il tempio e così è raffigurata. È stata una scoperta bellissima.

E immagino molto risonante per lei. Guardando la mostra nel contesto del museo. Sulle pareti, dialogano da un lato le sue donne archetipiche e letteralmente giunoniche, dall’altro “le piccole donne” siciliane (in un museo del costume che vidi anni fa erano talmente minute da sembrare bambine)…

Per quanto concernerne le “grandi”, ho avuto un’unica folgorante esperienza, quando mi è stato chiesto di vestire Demetra e Kore, il primo esperimento di archeologia del costume. In quella occasione, studiando queste figure – che sono davvero le Donne di Sicilia, perché tutto nasce da loro – ho sentito il loro essere appunto “giunoniche”, la forza e la grandezza del femminile. Questa isola poi, l’ho sempre immaginata nuda, perché tanto di quello che ci circonda non è bellezza, ma un di più che offusca. È stato un intenso lavoro di astrazione: e tutte le sperimentazioni tessili e materiche che lei ha potuto vedere e toccare hanno costantemente cercato questa concezione dell’essere donna. Divina, Madre Terra. Perché la mia Sicilia è questa, la Sicilia ( così come l’Etna, che per noi non è un vulcano maschio), è femmina, qualcosa di immenso.

Giungendo alle siciliane di Donne, Madonne … L’Onu ha dedicato il mese di ottobre alle bambine e alle ragazze, l’11 è la giornata mondiale … Concerne il qui e ora, ciò che saremo, e insieme per me ha un senso retroattivo. Tante di queste donne non hanno mai potuto essere bambine, costrette nei secoli a esistenze che non volevano. Accadde a Kore, rapita da Ade, ad Agata che rifiutò di sconfessare se stessa e che per questo fu violata e privata del seno, accade ancora oggi. La campagna mondiale di Terre des hommes, che agisce per le bambine e le ragazze, si chiama proprio “Indifesa”, e dunque lavora intorno a un doppio significato.

Su questo le voglio raccontare la storia della prima Madonna che apre la mostra, che è poi la storia della nascita di questo museo. Tutto ha inizio con un dono. Una sera, durante una cena, un amico pittore mi regala un sacchetto pieno di pezze e frammenti di stoffe antiche.

Ma questi sono abiti di Madonne, dico. Risponde: io non lo so, li ho ricevuti in dono stamattina e ho pensato a te, per me sei l’unica che possa averli. Ti ringrazio, ma non posso tenerli. È stupito: perché? Perché se sono vestiti di Madonne, vuol dire che da qualche parte ci sono delle Madonne nude e io posso tenere queste pezze solo a condizione di riavere quelle Madonne e rivestirle. Diversamente non è un argomento che mi interessa. Se tu sei in grado domani di farmi vedere queste Madonne bene, se no le pezze te le puoi riprendere. E l’indomani mi chiama … Mi racconta che l’antiquario aveva già caricato le Madonne sul camion per portarle alla Fiera di Parma, che si è molto arrabbiato perché erano proprio in fondo. Subito siamo sul posto ed è lì che per la prima volta vedo questa Madonna insieme ad altre nude, ma per me violentate, i capelli strappati con le forbici, gli abiti lacerati. Allora la prendo tra le braccia, è la più grande, molto diversa da come lei l’ha vista (perché poi è stata restaurata), truccata tipo pupo siciliano, con le gote rosse e il rossetto. Mi viene da piangere. Per me questo è esattamente il concetto di bellezza ferita. E io desidero ricomporla, proteggerla, darle un’altra vita. Poi, tornando a casa, mentre aspetto davanti a un luogo, anch’esso violato, mi perdo nelle mie storie su questa Sicilia che è sempre ferita. Sempre. E il mio amico mi chiede, cosa stai cercando? Quindi, dopo aver contattato Ruggero Moncada (proprietario del Museo Biscari, ndr), mi accompagnano a vedere uno spazio completamente dimenticato: 4 strati di pavimenti sopra quello originale, stanze trasformate in uffici ora in rovina. Non avevo idea esistesse il Museo Biscari, ma sento qualcosa più forte di me. Così chiedo di prendere lo spazio in affitto, caricandomi una storia enorme. Sono arrivata qui con la Madonna in mano e adesso dico che è lei la mia padrona. E se quella sera avessi accettato quel dono, oggi non sarei qui e non sarei nemmeno con lei a raccontarle questa storia.

Grazie di cuore. E rispetto a tutto questo cosa significa, nella sua ricerca negli abissi dei materiali “siculi”, continuare a sperimentare col corallo, oggetto dalla simbologia amplissima, dalla funzione protettiva, che Ovidio narra germinato dal contatto di alcune alghe con la testa di Medusa?

Equivale alla scelta di vivere la mia vita qui in Sicilia, anche se il mio lavoro continua a portarmi fuori, è il mio contributo a quei concetti che ancora questa terra quotidianamente esprime, la ricerca della materia, ciò che è invisibile e ciò che percepisci, annusi, tocchi. Il corallo qui in particolare si lega al mare, nel ‘700 era diventato il nucleo della dote delle spose, uno dei simboli della cultura mediterranea. Tutto questo mi appassiona, come il rametto che adorna tante Madonne, un linguaggio perpetuo, una cifra. Sento che la Sicilia si offre solo a chi riesce ad attrarre la sua parte più bella, e insieme ad accoglierne quella più tormentata (come le reti intrise di dolore dei Malavoglia, di cui racconto). Senza mai approfittarne.

maria_grosso_dcl@yahoo.it