Nel dedalo di appuntamenti artistici e culturali a celebrare i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri, spicca la sonorizzazione che Letizia Renzini effettua dal vivo sulle 54 rutilanti scene dell’Inferno, uno dei titoli primordiali del cinema muto italiano a firma di Francesco Bertolini, Adolfo Padovan e Giuseppe De Liguoro. 

Per un evento dal pedigree fiorentino tanto inappuntabile, l’esperienza si preannunciava catartica: nel Chiostro Grande della basilica di Santa Croce, dopo la placida immersione nell’equilibrio dello spazio brunelleschiano, salutato da opere di Baccio Bandinelli e Henry Moore, il pubblico accompagna i due poeti (Salvatore Papa interpreta Dante e Arturo Pirovano Virgilio) nel sulfureo ribollire dei quadri infernali più topici, che questo stupefacente film anima uno dopo l’altro in un ritmo quasi trafelato, sorprendendo e intrattenendo con la temeraria arcaicità degli effetti speciali primo Novecento, con l’espressionismo operistico dei suoi tableau e ispirandosi chiaramente alla severità delle celeberrime incisioni che del poema fece Gustave Doré.

La pellicola, prodotta dalla Milano film in cinque bobine, è del 1911 e il restauro digitale della Cineteca di Bologna (ri)porta i trucchi e i segreti di una cinematografia nella sua prima infanzia in prepotente, quasi surreale evidenza. Siamo all’alba del cinema e nel montaggio non vi è ancora narrazione, si cerca ancora di strabiliare l’occhio dello spettatore. Ai quadri animati segue la relativa didascalia in versi o in prosa, a illustrare i tormenti di Minosse, Paolo e Francesca, Farinata degli Uberti, Pier delle Vigne. Anche con questo gioca e si intrattiene Renzini, che avviluppa con i suoi sample elettronici ed acustici – ora simpatetici, ora semiseri, ora orrorosi quanto il film – le sovrimpressioni, le esposizioni multiple, le macchine sceniche che spettacolarizzano la discesa negli inferi di Dante e Virgilio.

Trucchi elementari, che facevano un tempo trasalire e oggi forse sorridere, pur riuscendo ancora a conservare parte della loro terribilità: e che la musicista toscana commenta a tutto tondo senza peritarsi di passare da campionare gli Autechre, Os Mutantes, Hildegard von Bingen e Caparezza (con il brano Argenti vive, naturalmente per Filippo Argenti) e modulare i campionamenti in chiave eminentemente rumoristica. 

Il risultato è un autentico tour de force estetico e sensoriale, amplificato dal tumulto allegorico delle immagini e delle sonorità che gli impassibili archi a tutto sesto di Brunelleschi stentano a contenere, soprattutto grazie alla proiezione, effettuata, oltre che su schermi, direttamente sulle profondità del chiostro stesso. Fino al precipitare finale verso uno dei climax, quando Renzini remixa la voce di Carmelo Bene che legge il canto di Ugolino in un’apoteosi visionaria e ammonitrice. Si esce a riveder le stelle certi di aver visto – e ascoltato – il primo blockbuster del cinema italiano. 

Lo spettacolo tornerà anche in apertura del FIPILI Horror Festival di Livorno  il 29 ottobre e come anteprima del Festival dei Popoli nuovamente a Firenze, presso il teatro della Compagnia il 18 novembre prossimo.