Prima dell’inizio del consiglio dei ministri ieri sera alle 21,30, proseguito fino a tarda notte, il «decreto semplificazioni» è stato «limato» per tutta la giornata. Secondo il capogruppo del Pd alla Camera Graziano Delrio sarebbe stato approvato con la formula «salvo intese»: «Immagino sarà così come per tutti i provvedimenti un po’ complessi» ha detto. «Salvo intese»: la formula permette ai governi di continuare a modificare i provvedimenti sui quali le forze di maggioranza non hanno ancora raggiunto un’intesa anche dopo la loro approvazione da parte del consiglio dei ministri . Su un provvedimento simile come lo «sblocca cantieri» il precedente esecutivo guidato da Giuseppe Conte è tornato più volte mentre si susseguivano polemiche di fuoco tra gli allora alleati Lega e Cinque Stelle.

Non meno tormentato è stato l’iter del «decreto semplificazioni» che qualcuno ha cercato di rinominare, senza successo, con il tag pubblicitario «Libera Italia». Numerosi i problemi tra Pd, Cinque Stelle, Italia Viva e LeU che ieri dovevano essere ancora «limati». Un modo per dire che non era stato ancora trovato un accordo, ad esempio, sulle deroghe al codice gli appalti e sui «super-commissari», sulle gare o sulla valutazione dell’impatto ambientale. Ieri circolavano più ipotesi: sospensione per un anno del codice degli appalti fino a luglio 2021, affidamento diretto per le opere fino a 150 mila euro e trattativa privata per quelle di valore superiore.

Per appalti da 140 mila a 350 mila euro le imprese invitate sarebbero cinque; dieci da 350 mila a un milione, quindici fino a 5 milioni di appalto. Nel governo c’era chi come Conte-Cinque Stelle voleva che le stesse regole valessero anche oltre questa soglia, e chi come il Pd no. Un’eccezione potrebbe essere fatta per le opere necessarie ad affrontare l’emergenza sanitaria del Covid, a cominciare da nuovi ospedali o scuole.

Altro punto delicato in discussione era il «modello Genova» della ricostruzione del ponte Morandi. Per Conte Italia Viva e Cinque Stelle un «modello» da applicare ovunque. Per Pd e LeU basta e avanza l’attuale codice degli appalti che prevede già norme di semplificazione. I renziani hanno chiesto l’approvazione di un decreto contestuale con un elenco di opere da commissariare. La forma giuridica da usare sarebbe il «Dpcm» che ha sollevato molte critiche nel corso dell’emergenza Covid, L’elenco potrebbe spuntare in forma contenuta e riguardare le opere finanziate e bloccate da contenziosi. Tensioni sono state registrare anche sulla revisione dell’abuso di ufficio e sulla responsabilità erariale. In questo caso le difficoltà sarebbero anche di natura costituzionale non potendo fare eccezione per le opere pubbliche, né potendo distinguere una condotta dolosa da una omissiva.

Dal fronte sindacale sono continuate a piovere dure critiche sul provvedimento. Per la Filcams Cgil molte modifiche della bozza di decreto «non vanno nella direzione necessaria a dare rigore e chiarezza al settore degli appalti di lavori, forniture e servizi: dalla modifica delle norme sul Durc, agli affidamenti senza gara, alla proliferazione dei Commissari, alla liberalizzazione del subappalto, dopo che già il Decreto Scuola aveva allargato l’utilizzo dell’offerta al massimo ribasso». Per la funzione pubblica della Cgil «è sbagliata la scelta di derogare dal codice degli appalti per far funzionare meglio il sistema produttivo quando la soluzione sarebbe assumere personale tecnico e qualificato» sostiene la funzione pubblica della Cgil. Non diversamente dagli edili della Fillea Cgil , anche i pubblici ritengono che il problema del blocco degli appalti sia dovuto al crollo degli addetti pari a un quarto da 396 mila addetti a 325 mila. L’edilizia e le infrastrutture non sono in crisi per la “burocrazia” ma per la crisi economica da un lato e, dall’altro, il blocco del turn over nella pubblica amministrazione deciso un decennio fa: nelle maggiori città italiane oggi mancano 1.326 addetti specializzati su un fabbisogno di 5.509. Una spiegazione opposta rispetto a quella usata dal governo.

Nella previsioni del presidente del consiglio Giuseppe Conte la «madre di tutte le riforme», il «decreto semplificazioni» avrebbe dovuto essere varato in «due settimane, massimo una ventina di giorni». Era il 21 maggio . Sei settimane dopo, stamattina in conferenza stampa, il testo vedrà la luce e sarà presentato. Potrebbe non essere l’ultimo.