A notte fonda dal bussolotto della pre-crisi in cui il governo agonizza è uscito un nuovo numero sulla scuola superiore: riaprirà in presenza al 50% lunedì 11, e non giovedì 7 come precedentemente stabilito. Qualcuno avrà pensato che due giorni di lezioni, e poi la chiusura il sabato con il ritorno delle zone arancioni “rafforzate” (ma non rosse) a fisamornica non era una buona idea. L’idea era stata stabilita dal governo, nonostante le obiezioni del comitato tecnico-scientifico, nel Dpcm del 23 dicembre. Allora il 7 gennaio era troppo lontano. A 48 ore dalla riapertura la scadenza è sembrata troppo ravvicinata. Si è arrivati a questa conclusione: le scuole dell’infanzia, delle elementari e delle medie iniziano giovedì 7. Tutte le altre l’11, alternando la presenza e l’online a metà.

IL CONSIGLIO DEI MINISTRI notturno, un’abitudine consolidata del Conte 2, è stato teso mentre le fazioni che lo compongono hanno presentato idee confuse e contrapposte. Il Pd si sarebbe presentato con la proposta di rinviare tutto a lunedì 18 gennaio. I Cinque Stelle e Italia Viva sostengono invece la ministra Azzolina che ripete inascoltata che le scuole superiori devono riaprire sin dal 3 novembre quando il suo governo le ha richiuse. A loro avviso la scuola andava aperta giovedì 7. Da questa lotteria è stato estratto lunedì 11. Ma non è finita qui. Sempre che le scuole riaprano a metà (il 50%), e non nella stessa data e in tutte le regioni come vedremo oltre, resta da capire se il governo è riuscito a fare negli ultimi 14 giorni ciò che non ha fatto dal marzo scorso: un piano dei trasporti e uno per la medicina scolastica, perlomeno. Richieste avanzate da mesi dal movimento “Priorità alla scuola” fatte proprie, a parole, dal governo. Su questo punto le cose non sono chiare. E l’ incertezza in cui naviga il governo – su tutto, non solo sulla scuola – sta aumentando la tensione in una società estenuata dalla gestione occasionale di un’emergenza sanitaria. I partiti e i loro ministri continuano a rinfacciarsi, nemmeno troppo tra le righe, le responsabilità sulla mancanza di un vero piano dei trasporti, mentre sullo sfondo resta la responsabilità di Conte che più volte ha appoggiato Azzolina nel corso di questi mesi. Senza riuscire a dare corpo agli annunci velleitari sulle riaperture negli ultimi tre mesi. Quello di settembre è stato un “successo” durato poco più, poco meno, di un mese. Poi la scuola superiore, e parte delle medie, sono state richiuse.

NEL CAOS POLITICO al momento si sa anche che le superiori non riapriranno lunedì in Veneto, Friuli Venezia Giulia, Marche e Campania. Gli studenti torneranno, forse, in classe rispettivamente il 31 gennaio nelle regioni del Centro-Nord e il 25 in quella campana. Qui le altre inizieranno gradualmente dall’11. Ieri il presidente della regione Puglia Emiliano ha detto di aspettare il consiglio dei ministri per rinviare il rientro. Alle famiglie potrebbe essere affidata la decisione se mandare a scuola i figli o meno. La scuola à la carte.

LE REGIONI che potrebbero modificare la scadenza imposta dal governo con il Dpcm del 23 dicembre sono complessivamente nove: oltre a quelle citate Lombardia, Trentino, Sardegna, Calabria, Umbria amministrate dal centro-destra. Come il veneto Zaia, o i «democratici» De Luca e Emiliano, anche gli altri presidenti delle regioni tengono a escludere motivazioni «politiche» e evocano l’andamento dei contagi. Nei fatti si riferiscono ai problemi organizzativi legati ai trasporti rivisti dai prefetti senza avere trovato un sufficiente consenso omogeneo delle comunità scolastiche e, soprattutto, al sistema di tracciamento nelle scuole. Lo scontro, tuttavia, è politico perché politica è la gestione dell’emergenza pandemica. E lo è anche perché il governo non ha avocato la gestione emergenziale delle scuole, ipotesi riconosciuta dalla legge costituzionale riformata.

IN QUESTE TORSIONI tecnico-politiche il diritto all’istruzione in Italia si sta spezzando, in particolare nelle scuole superiori. Ieri si è vista la replica dello scontro tra i Cinque Stelle, schierati a coorte per difendere il presidente del Consiglio Conte e la ministra dell’Istruzione Azzolina – che vogliono il rientro del 7 al 50% con orario ridotto a 45/50 minuti – contro le due regioni del Pd e del centro-destra che invece fanno valere la loro autonomia differenziata in materia di politica scolastica. Un’autonomia che il governo ha riconosciuto quando ha concesso alle regioni la possibilità di emettere ordinanze restrittive. Eventualità che si ripresenterà anche in questo caso. Il «coordinamento» evocato da Azzolina nelle ultime settimane, com’era prevedibile, non sta funzionando. È un’altra sconfitta dopo l’arretramento dal 75% stabilito dal Dpcm del 3 dicembre all’attuale 50%. All’interno del governo c’è anche il fronte «prudenziale» composto da LeU-Pd: il ministro della Sanità Speranza e quello degli affari regionali Boccia che si mostrano più consapevoli dei limiti della gestione pandemica anche se hanno dovuto concedere la riapertura al 50%.

AL DI LÀ di queste schermaglie, il clima sta cambiando per il governo. Esemplare a questo proposito è l’impressionante protesta dei docenti dei licei romani contro le decisioni del prefetto e dell’ufficio scolastico regionale. Sul sito del Manifesto sono un migliaio le firme alle «mozioni pubbliche» scritte da molti istituti della Capitale che chiedono di non riaprire il 7 perché non è stato approntato un sistema di prevenzione a tutela degli studenti e dei docenti rispettoso delle esigenze della didattica. La protesta è contro la «demagogia» e la «propaganda» del governo che sostiene di volere aprire le scuole, ma che non ha pensato di parlare con chi la scuola la fa. Evocare i risultati del monitoraggio fatto dall’Istituto Superiore di Sanità sui pochi contagi nelle scuole tuttavia non sembra essere più sufficiente per allontanare la quasi certezza che la politica istituzionale non ha fatto il necessario per aumentare la capacità di monitoraggio. Contro l’incapacità del governo di tenere aperte le scuole il movimento dei genitori, docenti e studenti «Priorità alla scuola» manifesterà il 7 davanti agli istituti.

IL PROBLEMA è la difficoltà di riuscire a conciliare il diritto allo studio con quello alla salute in una pandemia. Il governo non sembra per ora in grado di rispondere alla questione posta ieri dal segretario del Comitato tecnico scientifico Fabio Ciciliano: «La cosa più importante non è tanto riaprire le scuole ma cercare di tenerle aperte. Doverle richiudere tra due settimane sarebbe la testimonianza provata del fatto che i numeri stanno riaumentando». Motivazioni che hanno portato ieri quasi tutti i sindacati a chiedere al governo di valutare i dati della zona rossa a singhiozzo natalizia prima di riaprire.