Per aver così a lungo lavorato con lei negli anni più importanti della sua vita politica ho conosciuto troppo bene Nilde Iotti per non sentirmi un po’ spaesata di fronte a questo film a lei dedicato. Perché fatalmente manca di così tanti tratti del suo carattere (e di tanti episodi) che a me paiono decisivi per capirne la figura. Non ne faccio una colpa agli autori: le docufiction sono un genere insidioso, per definizione. Sono obbligate a inventare, ma offrono al tempo stesso verità storiche comprovate, che ti inducono a pretendere un reale impossibile da far rivivere. Storia di Nilde – proiettato ieri sera da Rai1 se la cava tuttavia abbastanza bene ed ha soprattutto il merito di restituirci un pezzo fondamentale della vita di Nilde malauguratamente sacrificato nelle testimonianze più recenti: l’esser stata non solo la prima presidente donna della Camera dei Deputati, ma comunista. Una comunista cocciutamente femminista, sebbene questo termine allora non fosse legittimato.

NILDE è stata un personaggio per molti versi anomalo: si è sempre presentata come una signora per bene, voglio dire una donna normale, vestita con eleganza e accuratezza, sempre il filo di perle al collo, in un’epoca in cui le donne comuniste a questo stile non erano abituate. Togliatti, che aveva condotto una vita tutt’altro che normale, di questa sua normalità era felice. Mi è capitato di andare a cena da loro qualche volta e ricordo quanta gioia provava per il tavolo accuratissimo, il cibo ben cucinato, niente di affrettato e trasandato. Ma a queste qualità di brava padrona di casa Nilde accompagnava coraggio e spregiudicatezza nel perseguire le proprie idee, battendosi contro le tante ostilità che l’hanno inizialmente circondata nel partito e poi contro le resistenze di chi nel gruppo dirigente del Pci aveva una visione vecchia e superata della realtà italiana, di chi non aveva capito che negli anni ’60 il paese era cambiato; ed erano soprattutto cambiate le donne. Sono stata contenta di vedere fra gli intervistati Emanuele Macaluso, perché ricordo bene una delicata riunione della direzione del partito a cui Nilde mi chiese di accompagnarla sebbene non ne facessi parte e in cui dovevamo, come sezione femminile, ottenere il permesso di proporre alla nostra imminente conferenza nazionale delle donne l’introduzione del divorzio, che comunque noi volevamo – giustamente – accompagnare con la riforme del codice per garantire alle mogli una percentuale del patrimonio familiare tale da consentire la sopravvivenza in caso di separazione alla grande maggioranza di spose prive di qualsiasi reddito.

CHI CI APPOGGIO’ con più forza in quella occasione (in cui ottenemmo solo metà di quanto chiedevamo) fu proprio Macaluso, pur siciliano.
(E infatti anche in Sicilia i no al referendum abrogativo della legge sul divorzio furono moltissimi). E poi, per restare su questo tema, voglio ricordare la fermezza con cui Nilde acconsentì a che la Sezione femminile che lei dirigeva co-promuovesse con l’Istituto Gramsci uno spericolato convegno su «famiglia e società nell’analisi marxista».
Non ho mai dimenticato che quando nel 1969 fui radiata dal Pci con il gruppo del Manifesto e per molti anni nessun dirigente del partito ci salutò più, Nilde attraversava il Transatlantico, quasi con ostentazione, per venire a scambiare con me qualche parola.
Una domanda agli autori del film: perché, pur esaltando il femminismo di Nilde Iotti, avete intervistato quasi solo dirigenti maschi?