Un piano per potenziare le RSA sarebbe nell’intenzione del governo dopo le tragiche vicende che hanno riguardato le residenze per anziani della Lombardia. Ma è come dire potenziare i lazzaretti, dare ancora soldi pubblici a strutture che non hanno saputo proteggere i nostri vecchi dal coronavirus, anzi hanno favorito il contagio per incuria, per direttive sbagliate e improvvide. E ora si vorrebbe continuare a foraggiare quei privati che hanno fatto della terza età un business.

Non si vuole fare di tutta l’erba un fascio, naturalmente. Eccezioni ve ne sono. Ma quello che emerge, confermato dalle indagini della magistratura, è un quadro diffuso di manchevolezze, irregolarità e anche di maltrattamenti. Parliamo di strutture in cui, spesso, i dipendenti sono sottopagati, precari, soci di pseudo cooperative. Ma da dove nasce l’affare delle residenze sanitarie? Gli anziani italiani con più di 65 anni sono circa 14 milioni e rappresentano il 23% della popolazione (dati Istat). Di questi 2 milioni e mezzo hanno superato gli ottanta anni e tra questi molti (tra il 2 e il 3 per cento) sono parzialmente o totalmente non autosufficienti.

E’ dalla profonda trasformazione demografica del paese e dalle problematiche dei soggetti più fragili o con gravi disabilità che nasce la crescente domanda di accoglienza nelle residenze assistite. Negli ultimi dieci anni, si è registrato un aumento del 50 per cento dei posti letto nelle Case di cura per anziani con investimenti pari a 500 milioni di euro da parte di società italiane e straniere in alcune regioni in particolare: Lombardia, Piemonte, Toscana e Lazio (report di Collier Internazional Italia). Il settore fa gola, dunque, tanto che diversi gruppi privati (italiani e stranieri) sono pronti a investire nelle Rsa cifre che superano i 20 miliardi di euro. Parliamo della Kos (del gruppo Cir di De Benedetti), di Sereni Orizzonti (della famiglia Angelucci), dei giganti francesi Korian e Arpea, operatori presenti in Europa e nel mondo. Un investimento sicuro e assai redditizio, anche perché il 50 per cento della retta è a carico del servizio sanitario nazionale e l’altra metà è coperto dagli ospiti.

Accanto alle Rsa (circa 2400 in Italia) sono poi proliferate altre forme di residenzialità collettive: case di riposo, residenze assistenziali, case albergo, comunità alloggio. In tutto 3500 strutture private, che si vanno ad aggiungere alle Rsa e che ospitano anziani autosufficienti (o solo parzialmente) e che per aprire hanno bisogno dell’autorizzazione degli enti locali. Vi sono infine 700 strutture dette “fantasma” interamente abusive.

Il “successo di mercato” delle residenze assistite è, inoltre, il frutto dell’idea diffusa con furore ideologico dai tanti apologeti del sistema capitalistico: gli anziani, in una società fondata sul mito della velocità e sulla ricerca della massima produttività, sono “scarti” da depositare o da rinchiudere da qualche parte. Centinaia di migliaia di persone anziane sono finite in trappole per la loro salute e per la loro vita. Non può diventare un alibi o una giustificazione il fatto che oltre l’80 per cento dei decessi per coronavirus ha riguardato persone sopra i 70-80 anni.

Il punto da discutere è se le residenze per anziani sono da considerarsi sicure e se, al netto delle inchieste giudiziarie, sono il mezzo più adeguato per affrontare i problemi dell’invecchiamento. Chi l’ha detto che lasciare la propria casa è l’unica scelta possibile e la più desiderabile per chi deve affrontare gli ultimi anni di vita? Per prolungare la permanenza nel proprio alloggio basterebbe una rete adeguata di servizi sociali, sanitari territoriali e alla domiciliarità (assistenza, cura, governo della casa, pasti a domicilio o mensa, lavanderia, telesoccorso e quant’altro) che permettano all’anziano di condurre una vita autonoma. Tra l’altro con grandi potenzialità occupazionali, con cooperative di comunità e vere e proprie imprese sociali che, partendo dal soddisfacimento delle esigenze degli anziani, potrebbero soddisfare una più ampia platea di cittadini.