La rivista Infinitimondi, di chiara ispirazione bruniana, da alcuni anni si occupa anche delle problematiche dell’alimentazione traendo spunto anche da Pane Nostro di Predrag Matvejevic. Gianfranco Nappi, direttore della rivista, mette i suoi remi sugli scalmi dello scrittore croato, ne prosegue la navigazione con Frammenti di storie delle civiltà del grano e del pane nel Mediterraneo e altri saggi sul cibo all’epoca della globalizzazione (ed. Infinitimondi, con una densa Prefazione di Piero Bevilacqua, pp. 159, euro 15), osservando come i processi di produzione del pane siano alla base della civiltà e perché in pochi decenni si sia generata una concentrazione ipercapitalista della produzione e distribuzione dei cereali che, insieme con l’intelligenza artificiale, riducono a merce la specie umana. Il paradosso è che la supertecnologia destina l’umano al pre-tecnologico, gli ruba anche il linguaggio, come tenta di fare il sistema GPT-4 che, tuttavia, alla domanda «cos’è la vita? cos’è la morte?» non sa rispondere perché non ne ha esperienza.

L’ETIMO DI «PANE» è affine a «padre», colui che protegge, che dà sostentamento. La radice pâti, sanscrito, origina sia «pane» che «padre». La terra ospita miliardi di miliardi di viventi che hanno bisogno di cibo e acqua. Difficile provvedere ai bisogni di sostentamento, attuali e futuri, di chi l’abita. Gianfranco Nappi ci fornisce informazioni importanti sulle vicende del grano e del pane, suggerendo soluzioni adatte all’oggi.
Le rotte del pane sono strettamente legate a quelle delle migrazioni. Già Bocchi e Ceruti, ne Le sfide della complessità (Feltrineli,1990) tracciarono le migrazioni delle popolazioni dall’Asia all’Europa e viceversa. Ogni migrante aveva con sé una bisaccia da riempire di pane. I loro studi vanno implementati con quelli di Cavalli Sforza in ordine alla genetica e al linguaggio che, se patrimonio comune, modificherebbero le rappresentazioni mentali di ciascuno generando diversi atteggiamenti e comportamenti, dunque una visione politica, a cominciare dalla necessità della pace perché «l’unico modo per vincere una guerra è non farla» (Tzu Sun, L’arte della guerra).

NAPPI ADOTTA nelle sue analisi criteri di efficacia (stabilire priorità) più che di efficienza (fare meglio le cose che già si fanno). Questo libro, è, pertanto, efficace. Lo abbiamo letto immaginando KR46MO (sigla identificativa del corpo di un bambino annegato a Cutro) in tutti i luoghi e i tempi narrati da Nappi – non da ultimo anche il capitolo dedicato al Viaggio che impegnò a metà del 1300 il Berbero Ibn Battuta che dal Marocco in oltre due decenni di peregrinazioni e di «scoperte» di popoli e culture giungendo fino alla Cina – seduto sui gradini di un mulino o accanto a una noria mentre mangiava pane e olio di luna, vestito ora da arabo, ora da circasso, ora da prima comunione. Ci sorrideva.
Le migrazioni attuali sono modeste rispetto a quelle della Cina (’59-’61) a seguito di carestie (disastri naturali ed errori politici) o ai milioni di morti in Ucraina (’32-’33) per una carestia «pilotata» dall’Urss.

PERCHÉ il pane è il risultato di un processo culturale? Guardiamoci intorno. In questo preciso momento, dappertutto, anche in casa nostra, un vivente divora un altro vivente. La «natura» attua strategie di autocannibalismo. All’umano il compito di evadere, con la cultura, dallo «zòon» (vita animale) per giungere al «bìos» (vita intellettiva di una specie). Lavoro, civiltà, storia, famiglia, società sono conquiste del pane-pena.
Il pane è la prima ricompensa attesa per il lavoro. Lavorare una cosa significa modificarla e, al quel punto, cambia nome. Avviene così che la creta, lavorata, si chiami vaso e che il grano, lavorato, si chiami pane, assumendo significati storici e metaforici intensi. Chi ha inventato la coltivazione del grano? Certamente le arcaiche raccoglitrici. Il segno V che ancora oggi si incide sul pane prima dell’infornata è lo chevron (doppia V) documentato dall’autrice de Il linguaggio della dea, Marija Gimbutas, come rimando al sesso femminile, alla fecondità e alla vita.
È con i tanti che nel mondo non rinunciano a immaginare grani e pani come beni comuni e con quel KR46MO, che non avremo mai la fortuna di conoscere, che Nappi divide il pane, ne è il «cum pane», il compagno.