La legge costituzionale che deroga all’articolo 138 e introduce una nuova bicameralina per le riforme non è ancora stata approvata definitivamente – lo sarà verosimilmente entro metà dicembre – ma già il governo parte con un suo disegno di legge per cambiare il sistema bicamerale previsto dalla Carta del ’48. Si conferma così la tendenza del governo a guidare il processo di riscrittura della Costituzione, malgrado le ripetute dichiarazioni di rispetto per il parlamento. Governativo è il disegno di legge che ha stravolto la procedura di revisione costituzionale, governativa anche la prima proposta nel merito. Dovrebbe arrivare domani al Consiglio dei ministri, ieri sera i tecnici del dipartimento hanno selezionato con il ministro la formula sulla quale impegnare l’esecutivo Letta. Quella del senato delle regioni.

Nella migliore delle ipotesi queste riforme saranno approvate nel 2015, aspettare tre settimane avrebbe almeno salvato le forme, dando il tempo alla camera di esprimersi definitivamente sul metodo da seguire. L’anticipo, poi, non avrà effetti pratici, posto che questo disegno di legge del governo andrà comunque affidato alle cure di quel comitato di 42 membri che nascerà ufficialmente solo dopo l’ultimo sì di Montecitorio. La ragione di tanta fretta è interamente politica: se il parlamento è ormai destinato a farsi cogliere in mezzo al guado dall’udienza del 3 dicembre con la quale la Corte costituzionale comincerà a occuparsi della legge elettorale, il governo non vuole essere accusato di inazione. Una proposta in materia di bicameralismo, numero dei parlamentari e funzionamento di camera e senato può offrire il quadro necessario a un coerente progetto di legge elettorale. Le camere non avrebbero più scuse. O meglio ancora la camera, visto che il corollario dell’operazione dovrebbe essere lo spostamento della legge elettorale dal senato a Montecitorio. Tra i deputati, infatti, esiste già una maggioranza favorevole a correggere il Porcellum con un doppio turno di coalizione per assegnare il premio che oggi è scollegato da qualsiasi soglia. Ma la materia elettorale è incardinata al senato, dove i numeri sono più problematici. E allora, in attesa del comitato dei 42, il disegno di legge governativo sul bicameralismo dovrà necessariamente essere assegnato in prima lettura ai senatori, visto che è del ridimensionamento del senato che si parla. Ed ecco trovata la strada per spostare la legge elettorale nell’altra camera.

Stando alle poche indiscrezioni sulla bozza del ddl governativo, la via scelta per il nuovo senato è quella di camera delle regioni. I senatori, ridotti a 200, saranno ancora eletti direttamente dai cittadini (tutti, anche i diciottenni) ma in occasione delle elezioni regionali. Così la composizione di palazzo Madama non sarà mai completamente rinnovata, e i senatori manterranno un certo potere legislativo, ma solo su poche materie, come quelle che riguardano le regioni e le leggi costituzionali. Previsto un potere di «richiamo» delle leggi da parte del senato, ma solo a condizione che lo chieda un numero elevato di senatori e in ogni caso lasciando alla camera l’ultima parola. Camera che con i suoi 400 deputati resterebbe l’unica a esprimere la fiducia al governo. Possibile anche il salvataggio di una certa quota di parlamentari eletti all’estero.