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Le regole sotto la pressione dei tempi

Decreto Salvini Il capo dello stato può fare argine contro una “manifesta” incostituzionalità, mentre per un mero dubbio o questione opinabile la palla passa alla corte costituzionale. In ogni caso, non è compito del presidente raddrizzare un indirizzo politico sbilanciato a destra

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 27 settembre 2018

Il decreto Salvini prende la via del Quirinale, in coda dietro quello per Genova. Esprime l’anima di destra del governo gialloverde, e suscita polemiche.

Ne sono espressione le parole di Carlassare e di Vassallo Paleologo su questo giornale. Punti di vista fortemente argomentati. Ma il paese va in direzione opposta, come mostra una Lega virtualmente primo partito. E il costituzionalista deve valutare attentamente se leggere nella Costituzione un vincolo per l’Italia a praticare – da sola – una piena e illimitata accoglienza quando tutti in Europa hanno chiuso o stanno chiudendo le porte.

E i garanti della Costituzione? Il capo dello stato può fare argine contro una “manifesta” incostituzionalità, mentre per un mero dubbio o questione opinabile la palla passa alla corte costituzionale. In ogni caso, non è compito del presidente raddrizzare un indirizzo politico sbilanciato a destra. E par di capire ci sia già stata una interlocuzione con il Quirinale sui punti più controvertibili del decreto. Se è così, potremo al più aspettarci che con la firma del decreto venga una esortazione epistolare.

Quanto alla Consulta, ha sempre lasciato spazio alla discrezionalità del legislatore sulle politiche criminali e di sicurezza. È poi improbabile, per i precedenti, che neghi la necessità e urgenza di questo decreto. Sul trattamento discriminatorio dei migranti, è difficile negare una differenza tra l’immigrato legale e chi arriva con un barcone. Mentre la soglia minima del nucleo incomprimibile dei diritti e della dignità della persona rimane sfuggente. Potremo aspettarci dalla Corte limature, più che una radicale dichiarazione di incostituzionalità.

Certo, su alcuni punti la censura si mostra ineludibile. Ad esempio, sulla revoca della cittadinanza concessa o in via di conferimento ai sensi della legge 91/1992, a seguito di condanna definitiva per alcuni reati variamente configurati e riferiti a fattispecie di terrorismo. La norma non è in sé incostituzionale. L’art. 22 Cost. limita il divieto assoluto alla privazione della cittadinanza «per motivi politici». Fu una scelta consapevole della Costituente, che il 15 aprile 1947 respinse un emendamento soppressivo del richiamo a tali motivi.

Ma le convenzioni internazionali contrastano l’apolidia. Così, l’art. 15, comma 2, della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948, e ancor più la Convenzione per la riduzione dell’apolidia del 1961: «Uno Stato contraente non priverà una persona della sua cittadinanza, qualora tale privazione rendesse tale persona apolide» (art. 8, comma 1). Analogo principio si trova nella Convenzione europea sulla nazionalità del 1997.

Ne segue che il diritto internazionale pattizio vincola l’Italia a togliere la cittadinanza concessa all’immigrato solo se rimane cittadino di un altro stato. Ed ecco il problema. Quid juris se la richiesta di nuova cittadinanza in Italia ha causato la decadenza della prima? Se la fuga per sfuggire a massacri, guerre o pulizie etniche ha portato alla perdita della cittadinanza nello stato da cui si è fuggiti? Di questo il decreto Salvini non si occupa. Né considera che la stessa regola potrebbe e anzi – per non essere discriminatoria – dovrebbe essere formulata anche per gli italiani ab origine, titolari di doppia cittadinanza.

La vicenda ci ricorda Hollande, che nel 2015 annunciò – in chiave pre-elettorale – che la guerra al terrorismo imponeva di costituzionalizzare la déchéance de nationalité, peraltro già presente nell’ordinamento francese. Poi, limitò l’ipotesi della privazione al caso di doppia cittadinanza. Alla fine, rinunciò alla riforma. Con il decreto Salvini forse rischiamo più che altro una norma manifesto. Ma Lattanzi, presidente della corte, esprime allarme per le recenti tendenze in Europa, e ci dice che «sono le Carte e le Corti costituzionali, insieme con i giudici comuni, che ci difendono dai vecchi fantasmi che hanno ripreso ad agitarsi in Europa e a mettere in discussione le regole della democrazia, della libertà e dell’eguaglianza, e i diritti fondamentali che le accompagnano».

Siamo d’accordo solo in parte. Quelle regole sono in vario modo sotto pressione da tempo, anche se alcuni se ne accorgono solo oggi per i migranti. E la difesa è un atto di fede laica che spetta anzitutto – e insostituibilmente – ai popoli. La vera questione è che siano fedeli praticanti.

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